Copertina – Suggestiva immagine della Grotta Grande di Pignone e di quanto resta del suo alabastro (Foto MAGGIALI, p.g.c.)
L’alabastro in letteratura
L’alabastro, o meglio le concrezioni che si formano dall’attività carsica (Figura 1, Figura 2 e Figura 3), sono state da sempre oggetto di ricerca, estrazione ed utilizzo un po’ ovunque. Anche nelle grotte più note e famose non mancano, spesso, camere di estrazione delle concrezioni (Figura 7). Queste venivano poi ridotte in lastre così sottili da essere traslucide. Secondo la moda di epoche differenti erano impiegate a scopo ornamentale.
Una descrizione suggestiva, anche se irreale, dell’alabastro si deve a G.A. MAGINI che nel 1610 lo interpreta come: …colature d’acqua congelata (come si stima) che col tempo si son convertite in pietra molto dura che piglia bellissimo lustro et sono di colore simile all’agata però materia al quanto più rossa con variati andamenti di macchie oltremodo graziosi… (DEL SOLDATO M. e PINTUS S., 1985, p. 92).
In Liguria le prime notizie documentate di estrazione dell’alabastro di grotta si devono al MOJON (1805) che riferisce dell’asportazione e taglio di stalattiti nella zona di Monte Gazzo (Genova) e di Pietra Ligure. Qui ne furono …tratte di quelle che giungeano a 4. e più metri di lunghezza sopra uno di diametro. Portano queste il nome nel Commercio di Alabastro della Pietra… (MOJON, 1805).
L’alabastro aveva un indubbio fascino sia dal punto di vista cromatico che per la traslucidità che assumeva quando era tagliato in lastre sottili. Per dirla ancora con le parole del MOJON: …ha un colore gialliccio chiaro, bruno, o rossiccio, semitrasparente, con delle strisce, ed onde in varie direzioni, secondo che la sezione della stalattite sia stata fatta perpendicolare, trasversale, od obliqua…
Le estrazioni alla Grotta Grande di Pignone
L’origine dell’attività estrattiva alla Grotta Grande, e più in generale nelle grotte di Pignone, è abbastanza incerta.
Il primo riferimento è la richiesta di Gio: MORELLO del 1626 (DEL SOLDATO e PINTUS, 1985). Siamo una quindicina d’anni dopo la supplica del MAGINI al Senato di Genova per avere la concessione a sfruttare numerosi giacimenti (minerali e di marmi) fra Genova e La Spezia. Fra questi anche una cava di marmi gialli a Pignone. Seppure la dizione sia evocativa resta il dubbio che il riferimento sia all’alabastro della Grotta Grande di Pignone.
Tuttavia anche la dizione Marmo di Pignone, senza ulteriore specificazione, non è chiarificatrice. Infatti, un paio di secoli dopo se ne trova notizie in un carteggio ufficiale.
Il 9 novembre 1823 l’Azienda Economica dell’Interno di Torino scrive all’Intendente Generale di Genova.
…Col mezzo dell’Uff.o della Diligenza ho ricevuto la cassa contenente i saggi dei marmi e petriere di cui parla il pregiat.mo di lei foglio 24. 8bre scorso (…).Fra i marmi non ve ne trovai altro che il verde di Larvego. Se questo non è lo stesso del verde di Polcevera, e del verde di Pegli, come suppongo, la prego di mandarmi un saggio anche di questi due, e di aggiungervi quelli del marmo di Pignone e dell’amianto di Pegli. Non è punto necessario che i detti saggi sieno puliti, e sarà mia cura il farli ripulire qui in Torino purchè siano pezzi tagliati a modo da poterlo essere…
Pochi giorni dopo l’ufficio di Torino chiarisce che …Il marmo di Pignone è quello stesso di cui si servirono nella Sala di Cod.o Palazzo Ducale per il fondo agli ornati architettonici, ed è indicato nella operetta sopra accennata… (Archivio di Stato di Genova, Prefettura Sarda, Fc. 223). L’operetta è …la descrizione mineralogica della Liguria fatta dal Sig. Giuseppe Mojon, e stampata in Genova nel 1805… Questo riferimento chiarisce che il Marmo di Pignone in discorso era in realtà il Rosso Cassana!
Le estrazioni alla Grotta Grande di Pignone
In prossimità di Pignone, è comunque certo che ...fino a non molti anni addietro, era cavato dalla Società Montecatini un calcare fossilifero giallo; aveva però scarsa attitudine alla lucidatura. Pare inoltre che la Società stessa abbia estratto e venduto, a scopo ornamentale, parte dei depositi e delle concrezioni, tipo Alabastro, in essa contenute… (DEL SOLDATO e PINTUS, 1985).
Forse la precedente indicazione del MORELLO è troppo vaga e le lettere dell’Archivio di Stato di Genova innescano ulteriore confusione.
Per fortuna una successiva indicazione del BARELLI (1835) è chiarificatrice. L’Autore descrive un campione di alabastro grossolano, giallo miele, a frattura scagliosa, rilucente e traslucido, proveniente con grande probabilità dalla Grotta Grande. …Questo saggio fu staccato da una stalagmite dell’altezza di circa metri 1.40 e grossezza media metri 0,65 in una caverna calcarea, posta a pochi minuti a scirocco da Pignone: la profondità è considerabile, la sua larghezza media è di circa metri 12 e varia la sua altezza da metri 1.20 a metri 3.00. Le sue pareti, come pure il suolo, sono sovente incrostate dallo stesso alabastro. Vi si entra per un’apertura verticale molto angusta… (BARELLI, 1835).
Quest’ultima considerazione indicherebbe che l’attività estrattiva era ancora agli inizi, come dimostra l’ampiezza attuale dell’imbocco della grotta (Figura 4, Figura 5, Figura 6, Figura 12 e Figura 13).
Figura 30 – Uno degli ultimi rilievi della Grotta Grande di Pignone (da Le Nostre Grotte, 1987)
Ricordi di archeologia industriale
L’estrazione intensiva delle concrezioni dalle grotte di Pignone sembra dunque un’attività abbastanza recente. È probabile sia stata innescata dal generale euforico sfruttamento autarchico delle potenzialità del territorio. Certamente è stata anche indotta dalle ristrettezze del dopoguerra, dagli interventi di ricostruzione e dal progressivo benessere iniziato nella seconda metà degli anni Cinquanta.
La situazione locale emerge dalla rievocazione di quei momenti nelle pagine del BELLANI (1995). L’Autore ricorda l’attività svolta nella grotta denominata la Cava e la descrizione fattane dal CASSELLI (1926), che la visitò. …Si apre nel calcare a circa 200 metri dalla parte di levante del paese di Pignone, con bocca larghissima (Figura 4 e Figura 5) e si interna tortuosamente per quasi un miglio in corridoi e sale ristrettissime (Figura 6, Figura 7, Figura 8, Figura 9 e Figura 10)…
La memoria del BELLANI si mischia alla suggestione. E aumenta il rimpianto delle distruzioni fatte nella speranza di successi che non si sono però materializzati.
Veniva cavato il materiale migliore, ma il giacimento era esiguo e lo scarto elevato.
Il ricordo di Renato BARILARI (Figura 11), che aveva lavorato per circa due anni in quella cava, rappresenta una testimonianza di archeologia industriale. …In un’altra esplorazione si era scoperto un corridoio con colonne stalagmitiche del diametro di mezzo metro. Una di queste, a detta di altre persone che avevano visitato la grotta, aveva le sembianze di un monaco avvolto nella tunica ed il capo coperto da un cappuccio: era stata denominata il frate (Figura 31). Fu il signor Manfredi Gino, attualmente consocio nella società Marmi del Vara di Borghetto Vara, allora capo cava della ditta Zannoni di Recco, ad abbatterla con l’aiuto di alcuni operai per ricavarne del marmo. Dovette penare per ore, tanto era grossa: misurava ben due metri e mezzo di altezza… (BELLANI, 1995). Pare anche, per testimonianza diretta di un operaio che aveva lavorato alle dipendenze dello Zannoni, che un blocco di circa sei metri di lunghezza per oltre un metro di altezza e larghezza, fosse stato inviato a Milano per partecipare ad una esposizione campionaria.
Cronaca dell’estrazione di alabastro a Pignone
Nel 1954 e nel 1955 la produzione di alabastro in provincia della Spezia fu, rispettivamente, di 56 e 117 tonnellate. Il GIORDANO (1969) cita questi dati, ma non precisa la cava. Si può solo immaginare che si tratti della Grotta Grande di Pignone.
C’è il ricordo che uno dei blocchi estratti sia stato utilizzato per il rivestimento della sede della R. A. I. di Torino (BELLANI, 1995).
Oggi la grotta si presenta con un grande salone iniziale (Figura 6 e Figura 12), lungo circa una cinquantina di metri. Il soffitto raggiunge nel punto più alto i venticinque metri circa di altezza. Qui sono ben visibili gli interventi estrattivi eseguiti mediante esplosivo e filo elicoidale (Figura 7, Figura 13, Figura 14, Figura 15, Figura 16 e Figura 17) e che ne hanno fortemente mutilato, condizionato e modificato la naturalità per oltre un terzo del suo sviluppo.
Oltre all’ampia sala di ingresso si apre uno stretto corridoio in discesa (Figura 8 e Figura 9) che prelude ad un secondo salone oggetto dei lavori estrattivi (Figura 10).
Nel tratto finale, in forte discesa, è presente un primo pozzo verticale che sfocia, al fondo, in un canale percorso da un torrentello. Un secondo pozzo, franoso, continua con alcune piccole gallerie. Al termine della discesa c’è una piccola sala ancora parzialmente concrezionata (Figura 27, Figura 28, Figura 29 e Figura 30).
Una breve salita conduce poi ad una porzione non completamente esplorata.
La Grotta Grande di Pignone
La Grotta Grande di Pignone si localizza alla base del versante del monte Castellaro. È una zona di grande fascino. Il sentiero che si sviluppa lungo il versante si snoda in piena area carsica. Si passa attraverso campi carreggiati (Figura 18) e solchi di erosione più o meno profondi. Si incontrano inghiottitoi ed imbocchi più o meno angusti che immettono in condotte e grotte (Figura 19 e Figura 20). Ed infine si giunge al sito archeologico del Castellaro di Pignone, antico insediamento caratteristicamente ligure.
La Grotta Grande mantiene ancora le tracce del suo passato di cava di alabastro nei blocchi e nelle grandi lastre ancora presenti presso l’ampio imbocco e nel piazzale retrostante. Ma soprattutto la Grotta Grande mantiene ancora speleotemi ed elementi di carsismo attivo nella zona vadosa. Sono i modesti cordoni e vele, piccole cannule in formazione (Figura 21 e Figura 22), microstalattiti cave, isolate (Figura 23) o disposte in cortine (Figura 24) e le serie di pisoliti o perle di grotta in formazione (Figura 25). Da segnalare che è tornata la presenza biologica (Figura 26).
Una grotta che è stata conosciuta ed esplorata in tempi differenti. Nel 1948 era ancora nota ed accatastata come Grotta Carpanelli (Figura 27 e Figura 28), al contrario del 1951 (Figura 31). La descrizione ed il rilievo di Coppello CONCI furono limitati alla cava ed ai primi corridoi. Negli anni Settanta del secolo scorso fu completato ed aggiornato il rilievo (Figura 29 e Figura 32) a carico di un gruppo di ricercatori. Confrontando questo rilievo col precedente si evidenzia una grande differenza nella prima camera a ridosso dell’imbocco che potrebbe essere il risultato delle coltivazioni degli anni Cinquanta.
Infine l’ultimo rilievo, forse più dettagliato, risale al 1987 (Figura 30).
Un’ultima triste considerazione sull’alabastro della Grotta Grande di Pignone
La Grotta Grande di Pignone è stata sfruttata, asportando le concrezioni createsi in tempi geologici. In fin dei conti è stata depredata nella speranza di un qualche guadagno che non è mai venuto.
Nella cultura materiale locale esiste ancora il ricordo di sale ricche di stalattiti e stalagmiti, di concrezioni a pavimenti lucidi e, forse un po’ fantasticamente, di laghetti limpidi e smeraldini.
La povertà, ma anche l’ignoranza, avrebbero trasformato questa risorsa geologica non rinnovabile (almeno in tempi umani) e questi ambienti in altrettanti cantieri. Ma lo stupore delle scoperte, la speranza del guadagno, la fatica dell’organizzazione del lavoro, talvolta forse anche in assenza di autorizzazione statale (come confermerebbe la carenza di notizie dalla Rassegna Mineraria) sono sempre state seguite dalla delusione.
Delusione per la scarsa quantità e qualità dell’alabastro.
Sito archeologico del Castellaro di Pignone
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