Copertina – Le principali mineralizzazioni manganesifere della Val Graveglia (base da BURCKHARDT e FALINI, 1956, modificato)
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I primi scavi di minerale manganesifero in Liguria Orientale
Un recente studio di HEYES, et al. (2016) ha definito un utilizzo particolarmente originale e molto antico del diossido di manganese.
Circa 50.000 anni fa i Neanderthaliani (Musteriani) del sud ovest della Francia (Pech-de-l’Alzé I, Carnac, Dordogna) avrebbero impiegato la polvere di pirolusite, o la pirolusite polverizzata, per facilitare l’accensione del fuoco e per attizzarlo. Sarebbe questo il risultato estremamente interessante scaturito da una serie di indagini e prove sperimentali eseguite dai ricercatori della Facoltà di Archeologia dell’Università di Leiden e della Facoltà 3mE del Dipartimento dell’Energia dell’University of Tecnology di Delft.
La storia delle miniere e dell’industria ligure del manganese è, invece, molto più recente.
Le prime notizie circa lavori estrattivi nell’area del comune di Pignone (SP) sono fatte risalire al 1790 circa, allorché un tale signor SAPORITI estrasse dalla miniera della Faggiona-Cerchiara (Figura 1) 300 q. di minerale manganesifero. Lo scopo fu quello di utilizzare il minerale di manganese per alimentare un’opificio per la sbiancatura delle tele. Una possibilità emersa dalla fine del Settecento.
Il manganese per la sbiancatura delle tele
Le proprietà sbiancanti del cloro gassoso erano note già dal 1774.
La reazione alla base del metodo della sbiancatura era quella descritta dal chimico svedese Carl Wilhelm SCHEELE (Figura 2). Egli, nel 1774, produsse, senza saperlo, il cloro, facendo reagire il biossido di manganese con l’acido cloridrico (già ottenuto da GLAUBER (Figura 3) nel XVII secolo, dalla reazione a caldo di acido solforico, olio di vetriolo, con il sale comune).
La reazione all’origine della sbiancata delle tele era:
MnO2+ 4HCl -> MnCl2+ 2H2O+ Cl2
In pratica si liberava il cloro con capacità ossidante e quindi sbiancante. Tuttavia, questa caratteristica era molto limitata ed invalidata dall’azione sporcante del biossido di manganese.
Nello stesso anno Johan Gottlieb GHAN (Figura 4) aveva isolato per la prima volta il manganese.
Fra Settecento e Ottocento era stata prodotta la polvere di TENNANT (cloruro di calce) che, per acidificazione, produceva una potente soluzione sbiancante. Il cloro indispensabile alla preparazione della polvere di TENNANT era ottenuto trattando il biossido di manganese (pirolusite) con acido cloridrico.
Unico problema era l’occasionalità della presenza di pirolusite nei giacimenti manganesiferi liguri.
La pirolusite e il sapone dei vetrai
L’occasionalità della presenza di pirolusite nei giacimenti liguri spiegherebbe l’assenza, in Val Graveglia, di tracce di antichi lavori e di vecchie ricerche minerarie per manganese (Relazione sul Servizio Minerario del 1879).
In effetti il manganese ha trovato limitatissime applicazioni nell’antichità e solo in forma di biossido (MnO2).
La pirolusite era utilizzata come pigmento, ma soprattutto ne era sfruttata la proprietà di eliminare la colorazione verdastra impressa naturalmente al vetro dagli ossidi di ferro che si trovano comunemente dispersi nelle sabbie silicee. Per questo, il manganese era anche chiamato sapone dei vetrai (Figura 5).
Il manganese diventa interessante
Ad occuparsi per primo dei giacimenti della Val Graveglia, fu il francese Augusto FAGES, personaggio fondamentale della storia mineraria recente del Tigullio. Egli, fra il 1876 ed il 1877, acquisì i permessi di ricerca per le aree di Gambatesa e di Zerli.
Le aree indiziate ed indagate furono Gambatesa, M. Bossea, Cassagna, Statale (Scrava) e Nascio (Molinello). Le ricerche furono eseguite mediante lo scavo di diverse trincee.
A Gambatesa (Copertina, Figura 6, Figura 34 e Figura 35) fu possibile mettere in vista del minerale per una lunghezza di 200 metri ed uno spessore di 50. Altri adunamenti minori furono riscontrati negli altri cantieri: Monte Porcile (Figura 7 e Figura 8), Cassagna (Figura 9 e Figura 10).
Da quel momento l’attività si è sviluppata proseguendo per oltre 120 anni. Durante questo lungo periodo e con l’avvicendarsi di differenti società concessionarie, sono stati saggiati tutti gli affioramenti di diaspro. Nel distretto minerario manganesifero della Val Graveglia sono stati individuati e coltivati tutti i giacimenti, anche quelli minori (Copertina).
La storia che viene da lontano
La storia estrattiva del manganese della Liguria Orientale comincia il 31 gennaio 1879 con la pubblicazione del primo Decreto di scoperta. Dopo i due anni di ricerca, il 31 ottobre 1881, fu emanata la Concessione.
Secondo i dati ufficiali, il minerale estratto aveva un tenore medio del 45% ed era commerciato un mercantile al 56% in Mn.
La struttura aziendale si estendeva su diversi cantieri di estrazione con una forza lavoro di circa quindici minatori, addetti anche al trasferimento del minerale. Inoltre operavano due cantieri di cernita (uno a Gambatesa ed uno a Zerli) con l’impiego di 25 cernitrici.
L’investimento di impresa, iniziale, si aggirava sulle 80-90.000 lire. I lavori avevano necessitato anche del tracciamento di 3 chilometri di mulattiere al fine di raccordare le miniere con la viabilità comunale esistente.
Il problema più grosso erano le comunicazioni.
Già raggiungere i cantieri poteva essere un’impresa. Ancora negli anni Sessanta del secolo scorso molti minatori facevano lunghi tratti a piedi per raggiungere ile miniere. Percorrevano mulattiere e sentieri molto prima dell’alba e dopo il tramonto, col caldo estivo e la neve d’inverno (Figura 11) o, più frequentemente, sotto la pioggia e spazzati dalla tramontana. Sovente dovevano arrangiarsi con un barattolo di conserva posto a cappello sull’acetilene per proteggerne la fiammella.
In qualche caso erano state aperte e potevano sfruttare delle gallerie che mettevano in comunicazione la miniera nella quale operavano con le valli laterali dove risiedevano alcuni minatori.
Valga per tutti la galleria di livello 590 che sbuca presso una cava di prestito del ferrogabbro. Questa permetteva di collegare i cantieri produttivi con la Valle di Pontori evitando ai minatori che vi risiedevano il passaggio sul crinale (Figura 12).
Figura 33 – Rilievo topografico della Miniera di Gambatesa, È evidenziato l’andamento del Livello 590 – Lungobanco di esplorazione (Arch. Priv.)
Il problema dei trasporti
Il problema dei trasporti era molto sentito anche a livello industriale. Il minerale doveva essere movimentato a braccia o a mezzo di muli (Figura 13) e, più tardi, anche mediante teleferiche (Figura 14 e Figura 15).
La necessità e l’intervento più atteso, ancora negli anni Cinquanta, erano il prolungamento della strada rotabile di fondovalle da Conscenti a Reppia. Questo collegamento carrabile avrebbe consentito un risparmio significativo sui tempi e sui costi di produzione. Per lunghi anni il minerale è stato, obbligatoriamente, trasferito a Conscienti da dove proseguiva sulla esistente strada rotabile mediante carri fino a Lavagna. Da qui il mercantile veniva imbarcato con destinazione Genova e Marsiglia.
In epoca autarchica il centro di stoccaggio per l’imbarco fu trasferito a Sestri Levante (Figura 16).
Lo stoccato in banchina veniva movimentato mediante decauville che riversavano in una tramoggia collegata alla stiva di due carghi gemelli (Figura 17). Il carico era eventualmente completato direttamente dai camion in arrivo.
Il lavoro in miniera
Un’innovazione importante in miniera fu l’introduzione dei locomotori diesel ed elettrici per la movimentazione interna del minerale (Figura 18, Figura 19 e Figura 20). Parliamo di tempi molto recenti, quando l’attività era meccanizzata e gestita a livello industriale.
Il trasferimento del tout-venant non subiva più la cernita e veniva movimentato direttamente dal cantiere di estrazione ai silos di stoccaggio e, in seguito, al nuovo impianto di preparazione del Sink-Float.
I carrelli, organizzati in convogli, erano trasferiti al livello di carreggio attraverso rimonte (o discenderie) azionate da argani (Figura 21, Figura 22, Figura 23 e Figura 24). Quindi un locomotore (diesel o elettrico) trasferiva il convoglio da 14 vagoni (per 25 t di minerale cioè il carico di un camion) all’esterno (Figura 25, Figura 26, Figura 27 e Figura 28). E terminava la corsa ai punti di scarico nelle tramogge per lo stoccaggio, differenziato in ragione della pezzatura e del tenore in manganese (Figura 29 e Figura 30).
I giacimenti, ricerca e progettazione dei cantieri
Le masse più importanti di minerale manganesifero coltivato, piccole o grandi che fossero, erano contenute nelle pieghe più grandi e serrate degli strati di diaspro (Figura 31). A sua volta il diaspro, roccia sedimentaria, costituisce una sequenza di spessore compreso fra 100 e 250 metri, contenuto fra i basalti, a letto, ed i Calcari a Calpionelle, a tetto (Figura 32).
La valutazione della consistenza e dell’assetto del giacimento avveniva iniziando lo scavo di una prima galleria rettilinea entro il diaspro, a cominciare da un affioramento di minerale, povero o ricco che fosse (Figura 33). Poi, ogni cinquanta metri circa, da quella, erano tracciate altre due gallerie perpendicolari, i traversobanco, fino ad incontrare i basalti o i calcari (Figura 36 e Figura 39). Questo serviva, nell’architettura della miniera, a mantenere la galleria principale al centro del pacco di diaspri (o di minerale). A Gambatesa, la miniera che ha seguito la lente manganesifera più importante ed estesa, sono stati tracciati ben sei livelli costituiti da lungobanco e traversobanco. I livelli erano sovrapposti ogni venti metri circa, fra le quote 530 m s.l.m. e 630 m s.l.m.. Di questi, tre livelli (530, 550 e 570) hanno attraversato la lente mineralizzata (viola nella ricostruzione 3D del VIDEO).
Quando una galleria incontrava il minerale venivano tracciate altre gallerie intermedie, sempre perpendicolari a quelle di partenza, e talvolta anche dei livelli intermedi (sottolivelli di coltivazione, Figura 37 e Figura 38). Lo scopo era quello di circoscrivere la lente minerale, analizzarne il tenore, valutarne la quantità e preparare il cantiere di estrazione. I livelli erano poi collegati fra loro con pozzi verticali (fornelli – Figura 40 e Figura 41) che servivano di esplorazione del giacimento, aerazione del sistema di gallerie, transito del personale e gettito dello sterile o del minerale.
Il tracciamento dei fornelli era il lavoro più duro e pericoloso. i minatori lavoravano dal basso verso l’alto, con la perforatrice sopra la testa o appoggiata alle gambe e l’operatore rimaneva in bilico su ponteggi di fortuna.
I primi metodi di estrazione
Il primo metodo di estrazione fu quello per vuoti, che prevedeva l’abbattimento del minerale a cominciare dai sotto livelli più bassi ed il conseguente svuotamento del minerale abbattuto (Figura 42). Quindi era predisposta una ripiena di minerale sterile per riempire il vuoto (eliminando anche il problema della discarica all’esterno).
Dagli anni Sessanta il metodo venne progressivamente sostituito dall’abbattimento operato a cominciare dai livelli superiori e trasferimento del minerale abbattuto, attraverso i fornelli di gettito (Figura 43), ad un livello molto più basso (di carreggio). Da qui i mezzi meccanici provvedevano a caricarlo sui carrelli ed a portarlo all’esterno.
Il susseguirsi delle volate favoriva l’apertura di fratture nei sottili e scheggiosi strati di diaspro. Ciò comprometteva la stabilità generale e quella del tetto della coltivazione, in particolare, cui mancava l’appoggio offerto dalla lente di minerale ormai abbattuta. Ma zone estremamente fratturate e fragili si incontravano anche durante il semplice tracciamento delle gallerie. Il rischio di crolli dal tetto era mitigato sia con l’armatura delle gallerie con centinature di legno (Figura 44) e/o col rinforzo dei vuoti di coltivazione (Figura 45 e Figura 46) mediante reti di acciaio sostenute da piastre e tiranti (Figura 47). Ma non era la panacea di tutti i mali poiché anche queste strutture necessitavano di opportuna e continua manutenzione (Figura 48).
Con l’arrivo dell’aria compressa e soprattutto con la realizzazione dell’impianto di Sink-Float l’industria del manganese della Val Graveglia ebbe un forte impulso. Ma poi problemi di diminuzione delle scorte di minerale e mercato sfavorevole, la avviarono al declino.
Ricostruzione 3D (realizzata nei primi anni Novanta) della grande lente mineralizzata che è stata coltivata nella Miniera di Gambatesa.
Legenda: viola, la grande lente; giallo, i livelli di gallerie.
Sestri Levante, città metropolitana di Genova, Italia
Miniera di Gambatesa, Ne, città metropolitana di Genova, Italia
Borghetto di Vara, provincia della Spezia, Italia
Miniera della Faggiona-Cerchiara
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