La Zuppa Inglese, un dolce fiorentino

Copertina

Copertina – Sandro BOTTICELLI, banchetto nuziale di Nastagio DEGLI ONESTI, 1483 (da wikipedia.org).
L’origine della Zuppa Inglese è contesa fra Firenze e Bologna. C’è chi vuole che fra gli ingredienti ci sia anche la cioccolata (in polvere o in crema)… Ma la realtà è differente.

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Le origini della zuppa inglese

Non bisogna farsi trarre in inganno dal nome: l’origine della zuppa inglese è italianissima e risale al Rinascimento, nella sua culla fiorentina (Figura 1), alla corte de’ MEDICI (Figura 2).
In questo modo c’è già la risposta sia sulle divergenze di origine logistica che sulla presenza del cacao nel dolce.
Infatti, bisogna aspettare i primi decenni del Seicento affinché il cacao arrivi in Toscana. Ne fu merito del commerciante fiorentino Francesco D’ANTONIO CARLETTI che nei suoi Ragionamenti descriveva, fra gli altri, la cocciniglia ed il cacao.
Il CARLETTI concesse la distribuzione dei semi di cacao ai Lucchesi MAIONCHI, patrizi e mercanti, che diffusero i cosiddetti semi delle Americhe.
Ma a Firenze, si vuole che sia stata Caterina Maria Romula di Lorenzo de’ MEDICI, nota semplicemente come Caterina de’ MEDICI (Figura 3 e Figura 4), a introdurre alla corte fiorentina il cacao.
E qui il susseguirsi degli eventi dinastici non sempre si allinea alla storia della diffusione del cacao. Infatti, alcune ipotesi ritengono addirittura che fu la corte del controverso e bigotto Cosimo III de MEDICI (Figura 5) a diffonderne l’impiego.
Poi, solo alla fine del Settecento, a Torino, il cioccolato inizia ad essere solidificato.
In ogni caso, la zuppa inglese della tradizione è fiorentina e non ha il cioccolato fra gli ingredienti.

Pare che questa golosissima zuppa fosse particolarmente gradita agli inglesi che almeno dal Settecento amavano risiedere in Toscana, a Firenze in particolare, dove avevano raccolto una numerosa comunità. Nel 1729 MONTESQUIEU (Figura 6) affermava che …gl’inglesi si portano via tutto dall’Italia: quadri, statue, ritratti […] ma gl’inglesi si portano via raramente roba di valore: gl’italiani se ne disfano il meno che possono, perché sono degli intenditori che vendono a gente che non lo è. Un italiano vi venderebbe piuttosto la moglie in originale che non un originale di Raffaello...
Forse, questa, l’origine del nome rimastagli fino ai giorni nostri.
Oggi, purtroppo, sembra che la zuppa inglese sia pressoché scomparsa dai menu dei ristoranti e dai banconi delle pasticcerie, sostituita da dolci più alla moda o da rare versioni rivedute. È un vero peccato, perché il piacere di una bella zuppa inglese a fine pasto o a metà pomeriggio con un bicchierino di Vin Santo è davvero tanta roba!

Pellegrino ARTUSI

La ricerca di un’origine scritta della zuppa inglese ci porta a Pellegrino ARTUSI (Figura 7) ed al suo La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene (Figura 8).
Pellegrino ARTUSI nasce a Forlimpopoli il 4 agosto 1820 nel bel mezzo della Romagna. È un piccolo paese vicinissimo a Forlì. Qui hanno vissuto, per più di trenta anni, Pellegrino ARTUSI e tutta la sua famiglia.
A segnare una svolta nella vita di Pellegrino, e della sua famiglia, è stata una brutta avventura, un’incursione del brigante chiamato PASSATORE (al secolo Stefano PELLONI, Figura 9 e Figura 10), che dopo aver fatto irruzione nel teatro cittadino razziò, con la sua banda, la casa del futuro gastronomo portando via qualsiasi cosa che avesse un valore. 
In conseguenza allo shock subito per l’irruzione, la famiglia ARTUSI decise di andarsene per sempre dalla Romagna, cominciando così una nuova vita a Firenze.
Proprio a Firenze Pellegrino ARTUSI scrisse e pubblicò, a sue spese, il libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene un capolavoro sulla cucina italiana che divenne un best seller, uno dei libri più letti dagli italiani assieme ai Promessi sposi e Pinocchio.

La zuppa inglese ne La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene

Il testo della ricetta originale dell’epoca (1891), è la numero 675 del libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, di Pellegrino ARTUSI.
In Toscana – ove, per ragione del clima ed anche perché colà hanno avvezzato così lo stomaco, a tutte le vivande si dà il carattere della leggerezza e l’impronta, dov’è possibile, della liquidità – la crema si fa molto sciolta, senza amido né farina e si usa servirla nelle tazze da caffè.

Fatta in questo modo riesce, è vero, più delicata, ma non si presta per una zuppa inglese nello stampo e non fa bellezza. Eccovi le dosi della crema pasticcera, così chiamata dai cuochi per distinguerla da quella fatta senza farina.
Latte, decilitri 5.

Zucchero, grammi 85.

Farina o, meglio, amido in polvere, grammi 40.

Rossi d’uovo, n. 4.

Odore di vainiglia.

Preparazione:
Lavorate prima lo zucchero coi rossi d’uovo, aggiungete la farina e per ultimo il latte a poco per volta. Potete metterla a fuoco ardente girando il mestolo di continuo; ma quando la vedrete fumare coprite la brace con una palettata di cenere o ritirate la cazzaruola sull’angolo del fornello se non volete che si formino bozzoli. Quando s’è già ristretta continuate a tenerla sul fuoco otto o dieci minuti e poi lasciatela diacciare.
Prendete una forma scannellata, ungetela bene con burro freddo e cominciate a riempirla nel seguente modo: se avete una buona conserva di frutta, come sarebbe di albicocche, di pesche od anche di cotogne, gettate questa, per la prima, in fondo alla forma e poi uno strato di crema ed uno di savoiardi intinti in un rosolio bianco. Se, per esempio, le scannellature della forma fossero diciotto, intingete nove savoiardi nell’alkermes e nove nel rosolio bianco e coi medesimi riempite i vuoti, alternandoli.
Versate dell’altra crema e sovrapponete alla medesima degli altri savoiardi intinti nel rosolio e ripetete l’operazione fino a riempirne lo stampo. I savoiardi badate di non inzupparli troppo nel rosolio perché lo rigetterebbero; se il liquore fosse troppo dolce, correggetelo col rhum o col cognac.
Se il tempo avesse indurita la conserva di frutta (della quale in questo dolce si può fare anche a meno), rammorbiditela al fuoco con qualche cucchiaiata di acqua, ma nello stampo versatela diaccia.
Questa dose può bastare per sette od otto persone. Nell’estate potete tenerla nel ghiaccio e per isformarla immergete per un momento lo stampo nell’acqua calda onde il burro si sciolga. Saranno sufficienti grammi 120 a 130 di savoiardi

immagine citata nel testo

Figura 1 – Hartmann Schedel, Firenze nel 1490, pubblicato a Nuremberg (Nürnberg) nel 1493 (da wikipedia).

Alkermes, elisir di lunga vita

L’ARTUSI ha citato, sopra, l’Alkermes.
È un liquore molto particolare e, oggi, difficile da trovare.
Torniamo, ancora una volta, alla corte de’ MEDICI. Siamo a FIrenze, nel primo Rinascimento. In quel brulicare di idee e di invenzioni, nasce e ci viene tramandato un altro fantastico prodotto: l’Alkermes (Figura 11).
Lorenzo il Magnifico (Figura 12), mecenate di scultori, poeti e pittori (Figura 13), amava offrire questo liquore dal colore forte e deciso, ma dal gusto morbido e dolce.
Il nome Alkermes, contraddistingue il liquore fiorentino. Deriva dalla parola spagnola alquermes, a sua volta derivante dall’arabo quirmiz, ovvero cocciniglia. Il colore rosso del vero, originale, Alkermes viene ancora oggi ottenuto da un colorante prodotto dalla fine macinazione del guscio essiccato delle coccinigle (Figura 14). Forse fu proprio quel suo tipico ed unico colore alla base della sua inziale fortuna.
La ricetta originale dell’Alkermes è quella dettata da fra’ Cosimo BUCELLI (Figura 15), uno dei famosi direttori dell’Officina di Santa Maria Novella (Figura 16) già nel 1743, trovata nel ricettario della Fonderia dell’Officina stessa.
L’origine dell’Alkermes però sembra avere radici ancora più lontane. Verrebbe fatto risalire alle Suore dell’Ordine di Santa Maria dei Servi di Firenze (Figura 17), fondato nel 1233, che lo impiegavano come elixir di lunga vita
L’Ordine dei servi di Maria, anche detti serviti, in latino Ordo Servorum Beatae Virginis Mariae, venne fondato a Firenze, probabilmente nel 1233, da un gruppo di sette persone, poi conosciuto come i sette santi fondatori. Questa l’indicazione che appare anche sul simbolo dell’Ordine (Figura 17).

Alkermes, Santa Maria Novella e la zuppa inglese

Ancora oggi, l’Alkermes viene prodotto dai frati domenicani di Santa Maria Novella  e per tutto il Rinascimento, come detto, è stato conosciuto anche come l’elisir di lunga vita.
Nella sua composizione troviamo alcune spezie, come il cardamomo, la vaniglia, i chiodi di garofano e la cannella, nonché l’acqua di rose (l’antico giulebbe).

L’Alkermes ha incontrato da subito il favore di chi l’ha assaggiato. Dalla corte de’ MEDICI arrivò ben presto anche in Vaticano, mentre Caterina (Figura 3 e Figura 4) lo portò alla corte di Francia (come scambio del cacao?) dove venne chiamato il liquore de’ Medici.
L’abitudine di bere un bicchierino di Alkermes è oramai quasi sparita, ma il suo uso è rimasto nella preparazione di dolci. Rimane un ingrediente indispensabile per la zuppa inglese, delle pesche di Prato (Figura 18) e della versione toscana del tiramisù, che ancora oggi si usa preparare con i biscotti intrisi del magico rosso scarlatto dell’Alkermes.
Dati recenti indicano che la produzione dell’Alkermes è limitata ai 250 litri all’anno. Sono prodotti nell’Officina erboristica di Santa Maria Novella a Firenze e venduti quasi interamente nel negozio attiguo. Solo una minima parte è destinata, tramite grossisti, fuori dalla provincia di Firenze. 

La zuppa inglese di nonna Patrizia

•otto uova (Figura 19)
•200 gr di zucchero
•un po’ di farina
•una scorzetta di limone

…da amalgamare bene, magari con l’aiuto delle fruste elettriche… (Figura 20)

•75 cc di latte stiepidito

…nel quale si versa piano piano il composto precedente… (Figura 21)

…si porta a cottura la crema pasticcera, mescolando, mescolando, ma facendo attenzione di NON portare ad ebollizione il composto…

…a parte si preparano i savoiardi intinti nell’alkermes… (Figura 22)

…poi la sequenza sarà uno strato di savoiardi intinti, uno strato di crema, uno strato di savoiardi intinti, uno strato di crema, fino ad esaurimento… (Figura 23 e Figura 24).

Forlimpopoli, provincia di Forlì-Cesena, Italia Firenze, città metropolitana di Firenze, Italia Bologna, città metropolitana di Bologna, Italia

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