Il Macramé. Appunti su un’eccellenza ligure (I)

Copertina

Copertina – Anche in una povera vecchia casa popolare di Lavagna, abbandonata da decenni, sopravvive il ricordo della tradizione dei pizzi e dei merletti in macramé…

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Proemio

L’arte del pizzo (Figura 1), del macramè (Figura 2), del merletto (Figura 3), porta a ritornare sulla storia, su ogni storia, sia dell’uomo che del suo lavoro. Sulla mentalità, sul linguaggio e, soprattutto, sulla ricchezza opulenta ed esibita (Figura 4, Figura 4.1, Figura 5, Figura 6 e Figura 7), contrapposta al soggetto umile e silenzioso (Figura 8).
In Liguria il tessile è stato per secoli una risorsa di rilevante importanza economica. Purtroppo, molto di esso è andato disperso. E con fatica, attualmente, vistane l’importanza culturale, viene recuperato, restaurato e conservato nei musei Liguri.
Gli stupendi intrecci di fili di lino e di seta, vengono riportati alla luce ed esposti. Soprattutto escono dai bauli che un tempo li conservavano gelosamente, e ormai venduti nei mercati d’arte, da eredi che non potendo più usarli per mancanza di praticità, se ne disfano ignorando quanto amore, quanto rispetto e quanta fatica ci fosse stata alle spalle di questa immensa bellezza.
Bellezza, che creava la magia del fare (Figura 9 e Figura 10).
Leggendo le pagine di Macramè e l’arte dei nodi, e osservando le immagini provenienti da musei di tutto il mondo, si scoprirà che il macramè non è soltanto un merletto, ma quest’arte di annodare i fili di ogni tipo con le mani è una tradizione antichissima. Una specie di linguaggio appartenuto a pescatori e marinai, quindi al mare, al Mediterraneo ed alla sua (alla nostra) cultura.

Annodare i fili…

L’annodare consente il fare un raffinato merletto o una rete, l’improbabile corazza di un guerriero (Figura 11), una scultura Figura 12) e conseguentemente annodare culture diverse. L’islam geometrico, cultura con la quale Genova era in relazione nei tempi passati e la troviamo anche nel linguaggio e nella decorazione dei suoi splendidi palazzi, così troviamo ancora in queste dimore splendidi damaschi e velluti, ma anche nelle chiese sontuosi tendaggi e paramenti.
E poi il merletto a fuselli (Figura 3) con arabeschi, viene utilizzato con fili sottilissimi di lino e contribuisce alla nascita del pizzo al tombolo (Figura 13 e Figura 66).
Pare che l’inizio di quest’arte possa stimarsi attorno al XV secolo, contemporaneamente al suo uso per abbellimento della casa e degli abiti (Figura 74, Figura 75, Figura 76 e Figura 77).
Ma, tutto comincia da chi è nato prima e soprattutto vicino.

Le origini di macramé e merletto

Nelle necropoli copte sono state trovate tele in puro lino, traforato e sfilato, reti annodate e ricamate, riportate dagli archeologi, con disegni che appaiono veri e propri merletti.
A seguito della cultura araba si sviluppa, nell’Europa nel XIV secolo, il ricamo a fili contati, lo sfilato, il modano e il burato (due tipi di rete ricamata) e, infine, il punto tagliato col punto reticello antecedenti dei merletti ad ago veri e propri e, fondamentale, senza la necessità di un supporto di tessuto.

I galloni e le passamanerie in filo d’oro (Figura 14 e Figura 15) sono considerati veri predecessori dei merletti a fuselli in lino o in seta. In sostanza, il macramè è la manipolazione di semplici fili con uso di fuselli (Figura 16 e Figura 17). Il merletto è un’elaborazione simile, ma molto più articolata e compliessa. Viene usato nel secolo d’oro e può anche essere lavorato ad ago.
Questo tipo di ornamento, leggero raffinato morbido e sottile, è adatto ad ornare scollature, polsi e, sino a tutto il Settecento, in preziosissimi inserti nei ventagli, nei fazzoletti, sino a coprire abiti ed uscire fuori da improbabili armature (Figura 11).
Il tutto documentato e immortalato da artisti famosi.

Immagine citata nel testo

Figura 3 – Merletto a fuselli Liguria 1620-1660 (da fioretombolo.net)

Il macramé

Il macramè, vero e proprio, non è adatto a queste elaborazioni leggere, ma viene usato nella biancheria per la casa. Sono tovaglie (Figura 18), cuscini, asciugamani, bordi per le lenzuola (Figura 19 e Figura 20). Tutta questa preziosità, tuttavia, viene osservata dagli ospiti, dai medici e nei pranzi, poi, una volta dimostrata l’opulenza della famiglia, dopo il banchetto, andati via gli ospiti e finita la festa, tutto viene ripiegato con cura dalla servitù e dalle padrone di casa.
Una dama dipinta da Bernardino DE’ CONTI (Figura 21) potrebbe indossare un abito il cui corpetto, camora, pare abbia applicato a decorazione un macramè in orizzontale (1400 circa) con galloni frangiati in oro (Figura 22). Ma tutti i pittori prediligono i merletti. Soltanto Bernardo STROZZI, il frate, inserisce, nei suoi dipinti di vita vera (Figura 23), asciugamani (Figura 24, Figura 25, Figura 26) e tovaglie lavorate a macramè e di grande effetto scenografico. Il macramè comunque rimane lì fermo su se stesso e non fa moda, mentre i merletti proseguono il loro cammino verso una elaborazione della bellezza assoluta. Tuttavia, questa bellissima lavorazione a semplici nodi, nelle sue varianti, resta nelle arti statiche, senza evoluzione. Apprezzata, ma non sembra degna di considerazione.

Il macramé stenta a diffondersi perché non c’è produzione di lino…

Forse anche per il fatto che una vera e propria manifattura per la produzione di pezze di tela non raggiunge mai, dai tempi antichi sino al Settecento, l’importanza che hanno avuto quelle della seta e della lana e manca, in Italia la coltivazione del lino. Manca totalmente in Liguria. Viene importato dalle Fiandre, dalla Lombardia e successivamente venduto sui mercati siciliani, nel Mar Nero, a Costantinopoli ed in tutto l’oriente.
Nel 1400 nasce la corporazione dei Tovagliari, ma da come si evince dai Capitoli che disciplinano quest’arte, si trattava di un gruppo minuscolo, con poco potere economico sempre sull’orlo di essere travolto dalle produzioni delle riviere e da oltralpe. Piccole cose arrivavano da Savona, ma trattavasi semplicemente di canaponi. Oppure da Chiavari, già conosciuta per i suoi Albasini (tessuti di canapa e cotone) e per i teli di lino.
Verso la fine del Cinquecento, nei famosi capitoli se ne trova traccia, oltre alla produzione di tovaglie, tovaglioli, fasce e qualche cenno alla produzione di macramé.

Patteri… drapperi… calzolai… pizzi… 

In un periodo più tardo leggiamo di patteri, drapperi e calzolari, poi finalmente delle lavorazioni di questi tipi di pizzi.
Una citazione, o meglio una traccia stimata al 1655, parla del macramé come di un lavoro all’interno dell’Albergo dei Poveri, fondato appunto in quell’anno (Figura 27).
Fatto purtroppo sporadico.
Probabilmente si trattava di una povera giovinetta che, un tempo lavoratrice di pizzi a nodi, si trovava ospitata in questo luogo, chissà per quale motivo.
La totale mancanza di igiene, pulizia, ordine, comprese le pessime condizioni di vita delle o degli ospitati all’interno, non hanno mai consentito che quest’arte continuasse. Quindi nessuna vera trasformazione e concretizzazione, coniugata tra arte e lavoro. Soprattutto considerato il fatto che tali persone erano miserabili e conseguentemente, visto il pensiero dell’epoca, non degne di considerazione e, tanto meno, di retribuzione. Nessun incentivo, quindi, per un ricoverato. Nessun riscatto sociale.
Neppure gli sforzi fatti dalla metà del XVIII secolo, con l’intento di trasformare questa istituzione, riescono, nonostante l’introduzione di appositi macchinari. Tutto quanto ottiene risultati scadenti.
Resta una domanda: l’opulenza dell’Istituto dell’Albergo dei Poveri, corrisponde alle esigenze per le quali questa istituzione era stata creata? Oppure era un monumento eretto solamente per testimoniare l’opulenza della società, fine a se stessa?
Sino alla soglia dell’Ottocento, non si ha notizia circa la produzione del macramé; ma certamente fiorisce e rifiorisce quella dei pizzi e dei merletti.
Il macramé resta nei bauli di case privilegiate e benestanti.
Ma l’arte interviene a testimoniare: in Santa Maria di Castello, l’artista nordico Giusto da RAVENSBURG (Jos Amman von Ravensburg), nel 1451, esegue all’interno del chiostro di questa splendida chiesa, un’opera degna della chiesa stessa: l’Annunciazione (Figura 28).
Nei dettagli degli arredi, sono un coronario di oggetti, che sino all’Ottocento potevamo trovare in ogni abitazione genovese: un leggìo intarsiato, laggioni in blu con fondo bianco, piastrelle a scacchiera, un grande asciugamano con ricami rigati azzurri e una bellissima frangia a nodi (Figura 28Figura 2) accanto alla nicchia col bacile e versatoio (volgarmente detti catino e brocca). Tuttora si trovano nei mercatini di antiquariato o dell’usato (sbarlafuss), sono ricercati per decorazione o semplicemente esposti per piacere dello sguardo. E sono proprio accompagnati dal macramè

Continua…

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Bibliografia

AA.VV. (1982 – 25 febbraio-31 marzo). Dal privato al pubblico. Catalogo della Mostra di tessuti e merletti antichi donati al Museo Luxoro. Genova: Comune di Genva. Assessorato Servizi Culturali.
LUNGHI, M., e PESSA, L. (1996). Macramè. L’arte del pizzo a nodi nei paesi mediterranei. Genova: SAGEP.
NICOLINI, F. (1978). Tessitura Artistica nel Genovesato e nella Liguria Italiana (dal Secolo XV al Secolo XIX). Genova – Savona: Editrice Liguria.
PARMA ARMANI, E. (1990). Il Museo del Pizzo al tombolo di Rapallo. La manifattura Mario ZENNARO 1908-1968. (E. PARMA ARMANI, A cura di) Genova: SAGEP.

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