Copertina – Anche in una povera vecchia casa popolare di Lavagna, abbandonata da decenni, sopravvive il ricordo della tradizione dei pizzi e dei merletti in macramé…
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Macramé, tessitura artistica
Si può tralasciare l’arte del tessile?
Arte antica come ogni altra.
Forse può apparire arte minore ai giorni nostri?
Non è certo argomento di quanto si scrive, né vuole esserlo. Senza dubbio non se ne può deprezzare il prestigio.
Monografie ne illustrano in modo egregio per confermarne l’arte assoluta nei secoli. Forse l’abitudine, forse l’uso consueto, hanno fatto sì che se ne fosse dimenticata l’importanza.
Ma la testimonianza di splendori lontani (Copertina), come i pizzi, i ricami, in stoffe operate, di tessuti, dei damaschi dell’ornato a mano, ne riconoscono il prestigio.
Raffinatissime tecniche arrivano a noi dall’oriente ormai scritto e riscritto e che pure sono state portate avanti qui, dalle parti di gente rocciosa e umile, tenacemente attaccata alla terra. Forse per non essere risucchiata dal mare, che col suo movimento perpetuo, dell’andare e venire, ammaliava e invitava gli uomini a partire.
I nodi sulla tela (macramè) legava la gente a quella terra tanto temuta, ma tanto amata, anche se i ricami non erano propriamente quello che desideravano fare e, se lo facevano, era forse senza grande entusiasmo. Ma lo facevano seppure, spesso ed a lungo andare, a scapito della vista e della volatilità delle mani.
Tuttavia i lavori erano convogliati a Genova.
Il macramé ed i lucchesi
Poi, più tardi, abbandonata la terra angariata dalla tirannia ghibellina di Uguccione, molti lucchesi si trasferirono a Genova, ma anche altrove. E si portano dietro quel patrimonio di Sapienza e creatività nella tessitura che stimolò produzioni di grande eccellenza.
A Genova l’arte della seta diventa quella che oggi si potrebbe definire università. Università nel senso di regole ferree che si protrarranno fino all’Ottocento.
Come pure per la lana e tutte le arti corporative, coinvolgeranno tutti i ceti cittadini.
Da ricordare i cardatari (familiari di Cristoforo COLOMBO, Figura 37) e il tintore di sete Paolo DA NOVI (Figura 38; sfortunato 42^ doge per 18 giorni, morto a causa della tirannia di Luigi dodicesimo). Ed ancora i DELLA ROVERE (impropriamente definiti nobili) di Albisola, assurti al Soglio Pontificio fra i maggiori pontefici (Sisto IV, Figura 41; e Giulio II) appartenenti entrambi a famiglie di tessitori.
Selezioni severissime consentivano l’accesso al mestiere, ma consentivano poi la produzione e realizzazione di tessuti di rara bellezza. E questo viene confermato dal fatto che i serenissimi avevano vietato l’ostentazione di tanta meraviglia per non offendere i ceti meno abbienti (quanta pietà).
Boccaccio (Figura 39) scriveva che …i genovesi usi sono di nobilissimo vestire…. E un anonimo raccontava a Dante (Figura 40) così …et le done sì ben ornate paren reine – in veritäe – si fornie de gran vestir che non se pò conta a né dire…
Ma a nulla servirono le sollecitazioni a moderare gli sfarzi, tanto che persino la Chiesa non rinunciava ai tessuti preziosi nelle funzioni religiose.
Le fabbricerie nelle quali venivano prodotti questi tessuti, come per tutti gli altri usi, si trovavano all’Acquasola, a Voltri, a Roccatagliata, a Sant’Ambrogio della Costa, a Rapallo, a San Michele di Pagana, a San Massimo Monti, a Noceto, a Paraggi e soprattutto a Zoagli (dove spiccavano particolarmente i vellutieri) ed a Lorsica (con i suoi splendidi damaschi e broccati).
I terribili attacchi del filugello, i colori, i produttori
A questo punto occorre una precisazione.
Il baco da seta è la larva del Bombyx mori (Linnaeus, 1758) cioè una specie di falena della famiglia Bombycidae.
In sostanza, le giovani larve, i filugelli, non sono ancora in grado di alimentarsi con le foglie del gelso e quindi mangiano esclusivamente le gemme. Solo in un secondo momento potranno nutrirsi delle foglie di gelso.
Così, occasionalmente, si generavano vere e proprie distruzioni degli allevamenti, venendo meno la maturazione dei vegetali.
E questo accadeva ancora nel 1850.
C’era poi la figura del tintore (all’epoca del tutto bio…).
I tintori avevano un grande valore nell’attività. Questi, con magie e, soprattutto, capacità traevano il verde dal faggio o dal frassino, l’azzurro dall’indaco, il giallo dallo zafferano, il rosso dalla vinaccia o dalla cocciniglia, il porpora dai molluschi marini, il nero da sostanza ossea, il morello dal legno brasile.
Ricordiamo ancora qualche eccellenza per le sete della Cattedrale: Casa VIANI in scura Ardizzone, alle Vigne, …; SCIACCALUGA a Pesce di Sturla, DE FERRARI in Campetto, Gio: MARTINI a Lorsica, i CORDANI, i GAGGIO e i LERTORA di Zoagli per i velluti (Figura 42), CANNONERO ai piedi del Monte della Guardia per la filatura, e molti altri. Senza dimenticare che al prestigio genovese hanno contribuito i toscani, i veneziani, i bolognesi, con gli scambi continentali ed il ricamo
È fondamentale la testimonianza che dobbiamo a famosi pittori. Già dal XIV secolo riproducevano l’abilità di tutte le categorie degli artigiani liguri e genovesi in particolare.
I pizzi ed i merletti che adornavano dame (Figura 21, Figura 43, Figura 23, Figura 26, Figura 12, Figura 4, Figura 4.1, Figura 5, Figura 6, Figura 7, Figura 8, Figura 14 e Figura 15), mercanti e cavallieri (Figura 44, Figura 45 e Figura 11), bambini (Figura 46 e Figura 47) e servitori, con una sfarzosa fantasia, quasi che il pittore, egli stesso, divenisse merlettaio.
Figura 56 – Il prezioso velo ricamato da Caterina Fieschi Adorno, ornato di bordura in pizzo veneziano che riproduce l’Immacolata Concezione con raffigurazioni dall’Antico e Nuovo Testamento (da lanternafilnum.it).
Velo e mezzero
Quasi tutte le dame genovesi, alla fine del XVI secolo, portavano appuntato sul capo un velo trasparente di colore giallo, vergato d’oro, che scendeva sciolto dietro le spalle (Figura 48, Figura 48.1 e Figura 49). Le plebee avevano lo stesso ornamento, ma non di velo, in seta di vario colore, puntato sopra il capo o la fronte (Figura 50, Figura 51 e Figura 52) e copriva le spalle per essere appuntato al petto. Poi diventa, nel tempo, di tessuto stampato con disegni vari e di tela indiana. Naturalmente tutto sapientemente copiato da svizzeri, alsaziani e francesi già nel 1759. Attualmente fiori, rami e frutti, un tempo colorati a mano, li troviamo in commercio con colori sintetici.
Il tutto però sfuma come il tempo che passa e tutto cambia… molte cose da raccontare, ma non sono importanti.
Ci rivolgiamo ora agli ornati in seta o di cotone che impreziosivano abiti e biancheria con ricami, pizzi, frange, merletti decisamente rivolti alla casa. Nelle chiese, agli altari, pianette, piviali, baldacchini, stendardi, camici e mantelle per corali e confraternite (Figura 53).
Il mezero (in genovese si pronuncia meizau, Figura 54 e Figura 54.1) ha, anch’esso, origine islamica. Come non si poteva imitare quel magnifico velo sul capo delle donne
Velo, appunto, mizar, parola corrotta o corretta. Rimane nel dialetto e nel linguaggio ligure.
Gli arabi adornavano le loro donne, che si coprivano pure il viso e le spalle. Cosa usata anche da noi, fino al Rinascimento.
Culture diverse e usi comuni.
Arte, cultura, bellezza dall’oriente. Il VECELLIO narra che alla collaborazione fra l’artista, la popolana genovese e la cultura araba, dava risultati di fantasia eccezionali. Il ricamo e l’ornato si sublimano… disegni orientali e islamici decorano i nostri altari, ancora ai giorni nostri. Contaminazioni naturali…
Ricamatori di famiglia e opifici per le Casacce
Nel Cinquecento, Gerolamo PELLATI stipula con la curia di Santa Maria e Giovanni Battista BURATTI un contratto presso la cattedrale di San Lorenzo e San. Domenico (ormai solo un ricordo). L’accordo riguarda il ricamo di pallotti destinati ai due importanti templi cattolici genovesi. Ciò acquisisce grande rilievo tanto che famiglie patrizie dispongono di un ricamatore personale. Un esempio lo da Andrea DORIA. Intorno al 1530, uomo maturo e potentissimo, aveva alle sue dipendenze, nella villa di Fassolo, il maestro ricamatore Nicolò VENEZIANO, citato e lodato anche dal VASARI.
Altre personalità dell’alta borghesia si cimentarono in questo lavoro. Caterina FIESCHI ADORNO (Figura 55) crea un prezioso velo ornato di bordura in pizzo veneziano che riproduce l’Immacolata Concezione con raffigurazioni dall’Antico e Nuovo Testamento (Figura 56). Analogamente farà Tommasina FIESCHI, morta nel 1534.
Quest’arte squisitamente ligure la ritroviamo nelle confraternite (Casacce), un tempo con abbigliamenti di ruvido sacco e rozze casacche con cappuccio a tutta-testa, forato all’altezza degli occhi (Figura 57 e Figura 58). Successivamente sono ricamati tabarri neri e oro per bardature a seguito delle processioni (Figura 53). Così si trasformano in sfarzosi copricappe a strascico, pastorali, cappine velade in velluto turchino (Figura 59) e cremisi, guarnite da ricami e merletti in oro e argento, per la chiesa ed alti rappresentanti di corte. Il tutto sino al tramonto del Settecento.
Continua…
Galleria Voltri Ovest - Progetto Gronda Di Genova - A10, 16158 Genova città metropolitana di Genova, Italia
Bibliografia
AA.VV. (1982 – 25 febbraio-31 marzo). Dal privato al pubblico. Catalogo della Mostra di tessuti e merletti antichi donati al Museo Luxoro. Genova: Comune di Genva. Assessorato Servizi Culturali.
LUNGHI, M., e PESSA, L. (1996). Macramè. L’arte del pizzo a nodi nei paesi mediterranei. Genova: SAGEP.
NICOLINI, F. (1978). Tessitura Artistica nel Genovesato e nella Liguria Italiana (dal Secolo XV al Secolo XIX). Genova – Savona: Editrice Liguria.
PARMA ARMANI, E. (1990). Il Museo del Pizzo al tombolo di Rapallo. La manifattura Mario ZENNARO 1908-1968. (E. PARMA ARMANI, A cura di) Genova: SAGEP.