Copertina – L’interno della Basilica di San Siro di Genova
Il portoro del Promontorio Orientale
Con il termine di “marmo”, utilizzato in maniera impropria, si indicano alcuni lapidei da rivestimento, cromaticamente rilevanti ed originali, lucidabili, durabili soprattutto in interno, e con la vocazione per l’arredamento. Fra questi rientra il portoro: un lapideo tenuto in grande considerazione per il suo aspetto unico ed esteticamente pregevole. Da qui il suo utilizzo come materiale ornamentale.
Solo in momenti particolari o per motivi contingenti il portoro è stato impiegato per utilizzi meno nobili. Si pensi, per esempio, ai conci di portoro usati nelle strutture in elevazione (Figura 1) della genovese chiesa di S. Lorenzo a Porto Venere (Figura 2), imposti certo dalla grande disponibilità in situ della pietra. Oppure i blocchi di ottimo portoro serviti ai tedeschi per erigere le difese durante l’ultimo conflitto mondiale.
L’attività estrattiva sviluppata lungo il Promontorio Orientale del Golfo della Spezia si è concentrata nelle cave del monte Carpione (Figura 3, Figura 4 e A.S.G.) , dei monti Branzi, del monte Gruzza nel monte Rocchetta. Oggi sono tutte inattive. Le ultime estrazioni risalgono agli anni Sessanta del secolo scorso. Il portoro del Promontorio Orientale era merceologicamente di buona qualità e con una macchia gialla molto intensa, ma era fortemente fratturato. E quest’ultima caratteristica limitava e comprometteva la possibilità di ottenerne lastre adatte al rivestimento.
Il portoro ha avuto momenti di grande fortuna ed intenso sfruttamento, alternati a periodi di totale abbandono. Riscoperto nel XVII° secolo, è stato cavato su entrambi i promontori del golfo spezzino. Ma i momenti di caduta del suo apprezzamento si sono ripetuti anche in epoca moderna a cominciare dalla seconda metà dell’Ottocento.
L’estrazione del portoro è stata condizionata dalla giacitura dei banchi, dagli stress tettonici, dalle così dette vampe di tarso, cioè forme di dolomitizzazione particolarmente intensa (Figura 5), nonché dagli errori di lavorazione commessi in passato con l’uso dell’esplosivo.
Ancora l’attività di Gio: Morello
Un punto fermo nella storia del portoro è la scoperta o riscoperta delle cave di “marmo” dell’isola Palmaria. Siamo nel 1600 quando Gio: Morello stipulò un accordo coi monaci Olivetani delle Grazie in base al quale poteva sfruttare qualunque tipo di “marmo” a fronte del pagamento di 13 soldi genovesi per ogni carrettata asportata dall’isola.
Il portoro venne apprezzato ed in breve tempo fu utilizzato nelle chiese dei paraggi. In particolare in quelle della Spezia ed in quelle dei padri Gesuiti di Palermo e di Genova (Chiesa del Gesù e dei Santi Andrea e Ambrogio). Qui in particolare, furono poste in opera alcune colonne di portoro, come nella casa dei Castagnola, mentre nella chiesa di San Siro (Copertina e Figura 6) fu impiegato portoro proveniente dalla Cava dei Branzi.
In seguito i monaci cercarono di rompere il contratto rendendosi conto del magro guadagno raccolto, ma la causa durò a lungo perdendo anche l’immediato interesse economico.
All’inizio del XVII secolo erano attivi tre diversi siti di estrazione. Sul monte Carpione (Figura 3 e Figura 4), nella cava dei Branzi, restano ancora dei blocchi squadrati dispersi in zona (Figura 7 e Figura 8).
Ancora, nella parte orientale del golfo vicino alla chiesa di San Lorenzo, il materiale estratto era più vago e duro rispetto a quello cavato sulla Palmaria. Secondo il LANDINELLI dal promontorio orientale proveniva il “marmo” utilizzato nelle chiese delle monache di Santa Chiara e di Sant’Andrea a Sarzana e quello delle colonne delle chiese di Sant’Ambrogio e dell’antica Basilica di San Siro a Genova.
Figura 4 – Particolare del “Tableau d’Assemblage du Plan cadastral parcellaire de la Commune de Tribiano. Canton de Lerici. Arrondissement de la Spezia. Département des Apennins. Terminé sur le terrein le 4 Juin 1812 sous l’Administration de M.r M.e Duval Préfet, M.r Poli Maire et sous la direction de M.r Saporiti Directeur des Contributions, M.r Naylies Ingénieur Vérificateur par M.r Gnone Géometre de 1ere Classe”. Archivio di Stato di Genova.
Le cave dei monti Branzi-Carpione
Da secoli e secoli in questi territori dei MERLON, mia nonna di antica stirpe, diceva …a vago ai Monti…” per dire vado ai Branzi mentre, per indicare l’insieme dei “monti” in generale (così sono chiamate le colline), diceva “Carpion“, come da sempre chiamato il Promontorio, rispetto al termine Caprione, indicato solo in pochi documenti e rimarcato solo in tempi recenti.
Ricordi delle cave
La Figura 7 e la Figura 8 rappresentano dei blocchi di portoro già squadrati ed ancora presenti nella Cava dei Branzi, su terreni dei “MERLON”, mia famiglia da parte materna, appunto, sul Carpione, località Castagnea, sopra Lerici. Erano cave di proprietà sempre date in gestione ed in disuso da decenni come i terreni, un tempo ricchi di frutteti e vigne, ora incolti e semi abbandonati. Alcuni blocchi sono ancora presenti in altre vecchie cave.
Da qualche tempo c’è una nuova attenzione su storia e peculiarità delle Cave di Portoro (e non solo) del Carpione, utilizzate anche per la costruzione dei Forti della Rocchetta e di Canarbino e, addirittura, per rinforzare le banchine delle calate di Lerici e dei borghi del Golfo.
Una storia poco conosciuta, da valorizzare.
La Basilica di San Siro di Genova
La Basilica di San Siro a Genova (Copertina) è una delle più antiche Chiese di Genova.
Eretta, nella sua prima struttura, addirittura nel IV secolo e conclusa nel XVII secolo. La prima Cattedrale della Superba. Bellissima e ricca di opere d’arte, in pieno centro storico nel Quartiere della Maddalena, tra cui, appunto, lo splendido altare, in bronzo e “marmo nero” (Figura 6), il portoro del Carpione, della Cava dei “MERLON”. Altare finito nel 1670 ad opera dell’artista marsigliese Pierre PUGET, di alto valore artistico (Figura 6).