Chiavari, Corso Millo, necropoli dell’Età del Ferro. Tomba 47b: kylix (coppa per gustare il vino) dal corredo della tomba. Per altre notizie: S. PALTINERI (2010, p. 60).
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Introduzione al bere come questione culturale…
Quelle che seguono sono solo brevi e schiumeggianti note che, spero, potranno rinfrescare una mezz’oretta di lettura… Nessuna pretesa di esaustività ma solo qualche sorsata dal sapore semiserio, qualche spunto di riflessione ed indicazioni bibliografiche, in un momento storico di particolare gravità. Mi aspetto lettori con un buon bicchiere frizzante in mano… lascio a loro la scelta del contenuto da sorseggiare.
Ecco, per l’appunto, l’emergenza sanitaria in corso. Di recente è uscita la notizia che in Israele, per velocizzare il processo di immunizzazione della popolazione contro il Covid-19, i bar avrebbero offerto birra gratuita a chi si fosse sottoposto alla seconda dose di vaccino…
Beh, nell’antichità per purificare e guarire i malati la birra si sarebbe usata direttamente. È conoscenza comune che la birra, elemento base della dieta egizia, costituiva parte dello stipendio delle maestranze al servizio del Faraone. Più era densa, migliore era la qualità. Ed ogni categoria sociale aveva la propria birra. Ma sappiamo anche che essa veniva utilizzata diffusamente in ambito medico, e non solo in Egitto. Sconsigliata alla donna che avesse partorito, ad esempio, la bevanda era considerata invece di grande utilità come diuretico, emetico, calmante della tosse e disinfettante dai parassiti intestinali. Nel Papiro di Ebers (ca. 1500 a.C.) piselli e birra (!) sono mescolati in una pozione contro i dolori addominali. In altre ricette i principi attivi, perlopiù di origine vegetale, sono prima mescolati al miele e poi devono essere inghiottiti assieme a birra dolce (forse prodotta con datteri) oppure lasciati macerare in essa o ancora decotti utilizzando birra.
Il bere (la birra) come questione sacrale
Non ci stupisce che la birra fosse circondata anche da un alone sacrale. In effetti il processo della fermentazione, che porta ad ottenere un liquido frizzante, dolce ed inebriante partendo da sola acqua e cereali, doveva apparire direttamente connesso al sovrannaturale ed al magico. In Egitto la versione più pura e sacra della bevanda veniva utilizzata per trattare e lavare i corpi dei dignitari e dei faraoni prima di iniziare la pratica della mummificazione.
In ambito mesopotamico abbiamo tavolette di argilla datate dal 3000 al 1000 a.C. che testimoniano l’importanza della birra per la società sumera. Esistevano rituali per la guarigione dei malati che sfruttavano il potenziale sacro concentrato nel tino per la fermentazione. Bastava recarsi in taverna e toccarlo mentre il mosto ribolliva e si sarebbe guariti.
In questa sintetica carrellata non resta spazio per altri argomenti correlati che possono trovarsi in NELSON (2016) ed in NENCINI (2009).
Il bere (la birra) come questione culturale
Certo, all’epoca di Assiri ed Egizi la produzione brassicola era ormai codificata secondo canoni definiti e gusti consolidati. Erano operanti birrifici su larga scala e mastri birrai al servizio del Faraone. Vigevano leggi sulla produzione della birra (ad esempio nel Codice di Hammourabi vi sono prescrizioni specifiche sull’argomento) e le diverse tipologie di birra, se pur numerose, avevano tutte come ingrediente connotante un cereale.
Nella mitologia sumerica la preparazione della birra era affidata ad una divinità femminile, la dea Ninkasi. Un inno alla dea descriveva il procedimento attraverso il quale i Sumeri facevano la birra.
Nel 2014 in Egitto, presso la necropoli di Tebe, è stata ritrovata da archeologi giapponesi la tomba di un importante produttore di birra, responsabile dei magazzini reali. Era vissuto 3.200 anni fa durante l’epoca di Ramesse, Khonso Em Heb. Uno degli affreschi lo ritrae mentre compie offerte agli dei insieme a moglie e figlia.
Già era noto, ad esempio, il birrificio di Hierakonpolis nel sud dell’Egitto, della metà del quarto millennio a.C., in grado di produrre 1100 litri di birra al giorno. Di recente ne è stato individuato un altro, attivo tra il 3150 e il 2613 a.C., ad Abydos, 450 km a sud del Cairo. Anche questo produceva su scala industriale, cioè oltre 22.000 litri di birra al giorno.
Per una densa carrellata sul mondo che beve di ieri e di oggi, consiglio l’articolo di CURRY (2017).
Le origini del bere la birra
In effetti, però, vi era stato un momento nel quale l’uomo apprezzava le bevande fermentate tout court, anche in forme che ai nostri occhi appaiono ibride. In realtà era un beverone alcolico corretto con frutti o erbe e miele.
Già l’Homo Erectus, 380.000 anni fa, consumava l’uva selvatica. Lo testimoniano il ritrovamento di semi carbonizzati nell’accampamento di Terra Amata (Nizza, Francia). Inoltre, poteva essere ottenuto facilmente un succo d’uva fermentato. Ricordiamo che il lievito è già presente sugli stessi chicchi d’uva. Quasi tutti i cereali che contengono zuccheri, inoltre, possono fermentare spontaneamente grazie ai lieviti nell’aria. Dunque si ritiene che diverse varianti di birra (ma potremmo forse chiamarle anche idromele birrato? vermouth preistorico? sangria primordiale?) furono prodotte indipendentemente in diverse parti del mondo. A maggior ragione, in seguito all’introduzione della cerealicoltura. Almeno 9.000 anni fa gli abitanti del villaggio neolitico di Jiahu in Cina consumavano una bevanda meticcia costituita da riso, miele, uva e frutto del biancospino. Aveva un contenuto alcolico del 10 per cento (WANG J., LIU L., BALL T., YU L., LI Y., XING F., s.d.).
La birra come alimento, medicamento ed elemento di aggregazione
Anche sulla base di casi come quello di cui al paragrafo precedente, l’archeologo molecolare Patrick McGovern è tra i primi a sostenere l’intrigante teoria che la cerealicoltura si sia sviluppata non tanto a scopo alimentare quanto, soprattutto, ai fini della produzione continuativa di bevande alcoliche (McGOVERN, 2009; SAMORINI, s.d.).
In ogni caso, si rifletta sulla attuale tendenza modaiola ad introdurre sul mercato produzioni brassicole meno puriste rispetto alla ricetta ufficiale della rigorosa tradizione tedesca. Ricordiamo che il Reinheitsgebot (dal tedesco Decreto di Purezza) è una delle più antiche norme di regolamentazione nel settore igienico-alimentare. Fu promulgata nel 1516 allo scopo di tutelare il brassaggio in Baviera, fissandone tre e solo tre ingredienti: acqua, orzo, luppolo.
Le nostre birre meno puriste, invece impiegano prodotti locali dei territori per la ricerca di sfumature raffinate o capricciose: le castagne, il basilico e il miele dei boschi liguri, la segale della Val d’Aosta, il sale delle saline siciliane. E chissà se altrettanto avevano fatto gli svizzeri del Vaud dopo la scoperta del loro sale di Bex.
La birra come alimento, la birra come medicamento, ma soprattutto, la birra come elemento di aggregazione per indicare una riunione di persone. I Sumeri utilizzavano un pittogramma che raffigurava un grande contenitore con la cannuccia, per indicare una riunione di persone (Figura 1). Quel contenitore simboleggiava il bere insieme birra dalla stessa giara, come era uso del resto anche in Egitto.
Figura 1 – Scena di banchetto su un sigillo a cilindro del Proto-dinastico II. Cimitero reale di Ur, 2600-2500 a.C. La birra veniva bevuta in gruppo con l’aiuto di lunghe cannucce
La birra come bevanda tradizionale, marker culturale segno spirituale
Ancora ai giorni nostri si associa la birra ai Paesi del nord Europa. Ma il geografo greco Strabone ne riconduceva il largo consumo ai Liguri, già nei primi decenni del I secolo d.C.. I Liguri, dunque, …vivevano perlopiù di carne delle loro greggi, di latte e di una bevanda d’orzo… (STRABONE, IV 6,2; DE MARINIS e SPADEA, 2004).
E infine, il consumo di birra come segno spirituale, celebrazione della vita dopo la morte, compagna di viaggio o anche testimonianza di un’ultima bevuta collettiva rituale alla memoria del defunto.
Nella necropoli ad incinerazione dei Liguri dell’Età del Ferro scoperta ed indagata a Chiavari (GE) negli Anni Sessanta del secolo scorso, si ritrovano corredi funebri di esponenti di alto rango, nei quali sono spesso presenti ceramiche riconducibili al consumo di birra. Fra questi un bicchiere con corpo dal profilo carenato e alto collo, di impasto semifine bruno, integro, alto cm 8,4 e di diametro, all’orlo, di cm 8,7 (Figura 2 e Figura 3; PALTINERI, 2010) ed alcuni boccaletti dei quali uno, in particolare, presenta l’orlo a bocca svasata per lo sboccamento della schiuma. Si tratta di un bicchiere con vasca dal profilo carenato, orlo esoverso, fondo umbilicato, impasto grossolano bruno-rossastro, integro, di altezza cm 4,1 e diametro all’orlo di cm 8. Era contenuto in un’ olla con corpo dal profilo biconico, alto collo distinto, orlo leggermente esoverso, piede ad anello, impasto grossolano bruno-rossastro, ricomposta, di altezza cm 23,1 e diametro all’orlo cm di 14 cm (Figura 4). Ricordiamo che tutti i materiali costituenti i corredi funebri della necropoli sono conservati ed in parte esposti al MAC, il Museo Archeologico di Chiavari.
Alcuni confronti
A Pombia (NO), in una necropoli golasecchiana più recente di quella chiavarese di circa un secolo, fu rinvenuto un bicchiere ceramico, di forma globulare. Aveva la capacità di circa 18 cl.. Era una sorta di monodose se consideriamo che la bottiglietta attuale ne contiene di solito 33 cl. Il bicchiere ceramico era stato collocato ritualmente sopra le ceneri, nell’urna. Analisi polliniche sul residuo secco (contenuto nel bicchiere) hanno rivelato l’utilizzo del luppolo come aromatizzante e conservante per quella che si può considerare la più antica attestazione materiale europea di birra.
Così, tanto per dire, non è oggi difficile individuare piante di luppolo selvatico durante una passeggiata sulle rive del fiume Entella, tra Chiavari e Lavagna… (GAMBARI F.M., 2007; GAMBARI F.M., s.d.)
Ma le fonti letterarie greca e latina sugli antichi Liguri ci delineano un quadro che solo i conquistatori avevano interesse a descrivere. Modi di vita rozzi se non ferini ed ambizioni limitate all’immediata sopravvivenza. Il consumo abituale di birra è spiegato non tanto come un obbligo dettato dalla natura ingrata dei luoghi, che impediva la produzione di vino gradevole, quanto come la prova dei loro gusti grossolani e della loro arretratezza culturale. tutto questo giustificava, contro i Liguri, un’azione di conquista e civilizzazione (Figura 5 da Gallica Parma). E ciò solo perché preferivano la birra al vino (NENCINI, 2009; PEPE, 2018; Figura 6).
Ricordiamo, a questo proposito, che la birra egiziana, lo zythum, per esempio, costava metà della birra europea (cervisia, camum) e quattro volte meno dei vini ordinari. Un retaggio di tale preconcetto è rimasto ancora nel comune sentire odierno.
Il vino come portatore di civiltà
Non è questa l’occasione per approfondire quanto il vino, come la birra, fosse tenuto in gran conto dalla medicina antica. Così come la pianta della vite si trasforma prodigiosamente nel corso delle stagioni, inerte nella stagione fredda e straordinariamente rigogliosa e vitale in estate, così il prodotto ottenuto dall’uva, in maniera misteriosa, era considerato di origine sovrumana nelle diverse mitologie antiche. Non solo in quella greca, etrusca e romana ma anche in quelle sumera ed egizia (DI RENZO E., 2005).
I Greci, ed i loro inviati nelle colonie, ebbero il merito fondamentale non solo di esportare migliori tecniche colturali presso i popoli italici, ma soprattutto di trasformare il vino da mero prodotto alimentare a merce di scambio ambita. Era merce di pregio in quanto riconducibile ad uno status sociale e culturale elevato, identificabile con la pratica liturgica del simposio. Veicolo di trasmissione fu sicuramente anche la ceramica figurata, il kit utile al consumo alla greca del vino E venduto assieme ad esso.
Nell’Età del Ferro in Etruria si consolidò un’articolazione stratificata della società. Nel corso dell’VIII secolo a.C. si assistette alla nascita dell’aristocrazia medio-tirrenica. Il contemporaneo esubero di produzione vinicola determinò l’esportazione non solo del rinomato vino etrusco (Figura 7), ma soprattutto dei modelli culturali legati al suo consumo (Figura 8). In tale quadro, la discriminante tra un popolo e l’altro divenne il saper bere, o meno, il vino. Il consumo di vino fu codificato nelle forme ufficiali derivate dal simposio greco e fu espressione di relazioni socio-culturali tra individui. Il simposio come occasione di dissertazioni d’alto livello, di ispirazione artistica e di capacità di autocontrollo rispetto ad atteggiamenti eccessivi. Il vino inteso come portatore di civiltà (DE’ SIENA, 2012; ZIFFERERO A., 2010; SETARI E., 2010).
Ancora non sono stati individuati relitti etruschi nel mare ligure, ma sussistono numerose testimonianze del gradimento del vino etrusco. Ad esempio frammenti di anfore per il commercio del vino, sia in insediamenti costieri sia in altura, nonché i corredi funebri dell’emporion di Genova (CIBECCHINI, 2007; MELLI P., 2007). Sono tutti reperti risalenti, però, ad epoche successive alla necropoli chiavarese. Nel Museo Archeologico di Chiavari, è esposta un’anfora vinaria etrusca datata circa al VI sec. a.C. (Figura 7).
I reperti del MAC
Nel sepolcreto di Chiavari, alcune tombe restituiscono raffinate ceramiche di accompagno. Sono manufatti di importazione o anche di produzione locale, collegabili al consumo del vino all’interno di precisi rituali, presumibilmente connessi al funerale. Sono individuabili sia coppe per bere (kylikes, Figura 9 e Figura 10) sia attingitoi (kyathoi, Figura 11, Figura 12 e Figura 13).
Le kylikes della necropoli dell’Età del Ferro di Chiavari (coppe per gustare il vino) provengono dal corredo della Tomba 60 (Figura 9; PALTINERI 2010, p. 60) e da quello della Tomba 47b (Figura 10). Quest’ultimo è una kylix con anse a bastoncello impostate orizzontalmente, vasca poco profonda dal profilo curvilineo, ampia imboccatura, profilo esoverso marcato, piccolo piede ad anello, decorazione metopale a trattini incisi tra le anse, segno a croce impresso sul fondo; bucchero nero, mancante di un’ansa. Altezza cm 3,9, diam. orlo cm 8,8).
La tazzina attingitoio (kyathos), proviene dalla Tomba 66d (Figura 11, Figura 12 e Figura 13). È a vasca carenata, con segno alfabetico theta graffito a crudo all’attacco dell’ansa, impasto semifine bruno, ricomposta, altezza max cm 6,8 e diametro all’orlo di cm 7,9. È di produzione locale (MELLI, 2010).
Purtroppo, come nel caso dei bicchieri per birra, non è oggi rimasta traccia del contenuto. Non è possibile, quindi, eseguire analisi molecolari o palinologiche per trarre informazioni più precise sulle modalità del consumo. Ricordiamo, ad esempio, che il vino nel simposio veniva mescolato ad acqua, anche marina, erbe aromatiche e talora formaggio.
In alcuni siti è stato possibile trarre informazioni da resti archeobotanici (carpologici, granuli pollinici, xilo-antracologici), resti di bevanda antica (studio di specifici composti organici), resti di oggetti (per coltivare la vite/i cereali, produrre, consumare, trasportare e commerciare). Oltre a questo, a Chiavari non sono emerse tracce di abitato (seppure ne sia sospettata una possibile localizzazione) né di aree pertinenti riconducibili a produzione o stoccaggio di vino o birra.
Gli influencers etruschi ed il mutare dello status dei ricchi Tigulli
Nella Tomba 60 di Chiavari si son trovati sia un bicchiere da birra sia una coppa da vino. Una intrigante caratteristica del sito chiavarese è la coesistenza all’interno del medesimo cimitero – e dunque nella stessa comunità dei vivi – dell’utilizzo di bicchieri da birra di ceramica alquanto grezza, nonché di attingitoi per il vino e di sofisticate coppe, talora dipinte, in bucchero o con motivi decorativi graffiti. Sono la probabile testimonianza dell’evolvere delle preferenze culturali della società ligure venuta a contatto con la cultura etrusca. I ricchi Liguri Tigullii, insomma, ostentavano il raggiungimento di uno status sociale attraverso usi mutuati dagli influencers dell’epoca: gli Etruschi.
Inoltre come già evidenziato, a Chiavari sono del tutto assenti alcune forme ceramiche o strumenti accessori tipici del simposio, quali il cratere (il vaso di grandi dimensioni nel quale mescolare vino e acqua), il kantharos (coppa a due manici con piede, spesso rappresentata nelle mani di Dioniso, Figura 14) o il simpulum (mestolo, Figura 8), segno forse di una sorta di adattamento al gusto locale di usi esotici (LEONARDI e PALTINERI, 2012).
È opportuno sottolineare, in ogni caso, la presenza di coppe anche nelle tombe femminili, accanto agli oggetti connotanti il ruolo ed il rango sociale delle defunte, quali fusaiole, gioielli ed accessori del costume tradizionale. Allo stato attuale degli studi non sono individuabili per le donne preclusioni rispetto al consumo di bevande alcoliche, in coerenza con lo stile di vita degli Etruschi. Anzi, ad un rapido sguardo, parrebbe maggiore il numero di attingitoi o capeduncole (kyathoi) nelle tombe femminili che, peraltro, sono complessivamente più numerose di quelle maschili (DI VINCENZO R., 2019).
Conclusioni
Non occorre essere archeologi professionisti per notare come le tombe chiavaresi che contengono vasellame da vino presentano vasetti attingitoi oppure kylikes alternativamente, mai entrambi assieme. La cassetta della Tomba 35 pare l’unica a presentare più oggetti per il consumo del vino: due attingitoi.
Si tratta di un aspetto sul quale chi scrive auspica un futuro approfondimento delle ricerche, anche in relazione alla nota revisione allestitiva del Museo chiavarese, al momento ancora ospitato nella trentennale sede delle scuderie storiche di Palazzo Rocca ma per il quale, grazie al Comune di Chiavari ed a cospicui fondi ministeriali, si stanno studiando ben più ampi e degni spazi per un prossimo futuro.
Chiavari, città metropolitana di Genova, Italia
Nizza, Alpi Marittime, Francia
Saqqara, Markaz al Badrashayn, Governatorato di Giza, Egitto
Note di aggiornamento
2021.07.01
Un interessante link sul vetro del vino: il Museo del Vino e dell’Archeologia di Epernay
2024.05.07
Non sono stati i Fenici a produrre per primi il vino, tuttavia, la scoperta è molto rilevante. Le tracce piu antiche, infatti, risalgono a circa 8.000 anni fa in Georgia.
Ai Fenici va riconosciuta la diffusione del vino e della vinificazione nell’antico Mediterraneo, dove introdussero vigneti e cantine nelle loro colonie del Nord Africa, in Sicilia, in Francia e in Spagna e commerciato con la Grecia e l’Italia (liberamente tratto da FB_ANTICAE VIAE)
Bibliografia
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DI RENZO Ernesto (2005). Dal tralcio alla tavola. Simboli, valori e pratiche del vino. In DI RENZO E. (a cura di), Strategie del cibo. Roma, pp. 83-101
DE’ SIENA, S. (2012). Il vino nel mondo antico. Archeologia e cultura di una bevanda speciale. Modena.
DI VINCENZO, R. (2019). La signora del simposio. Il vino e le donne nella società preromana e romana. Vignate.
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Le immagini delle Figure 2, 3, 4, 7, 9, 10, 11, 12, e 13 provengono dalla Pagina Facebook del MAC: @museoarcheologicochiavari.
L’immagine della Figura 8 (foto di Roberto Serra modificata) è ripresa dai materiali della Tomba del Simposio, della Necropoli Etrusca dei Giardini di Santa Margherita e conservati presso il Museo Archeologico di Bologna.
L’immagine della Figura 14 è ripresa dai materiali del Museo Pigorini di Roma