Copertina: la prima pagina del Corriere della Sera del 24 novembre 1980 (fonte: clicca qui)
23 novembre 1980, 19:30
Domenica 23 novembre 1980, ore 19:34. Serata tiepida, di carattere primaverile, nonostante mancasse un mese a Natale.
Novanta infiniti secondi di crescente terrore. Una scossa di magnitudo 6.9 genera il sisma più violento dal dopoguerra. Ed il più forte che abbia colpito l’Appennino meridionale negli ultimi 100 anni (insieme a quello del 1930, DEL GAUDIO, 2013).
Il sisma del 23 novembre 1980 scarica un’intensità epicentrale Io pari al Xº grado della scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS) ed al IXº della scala ESI-07. I risentimenti si spalmano su 17.000 kmq.
Le regioni più colpite sono la Campania (Province di Avellino e Salerno) e la Basilicata (Provincia di Potenza), ma lo scuotimento viene avvertito in quasi tutta l’Italia, dalla Sicilia fino all’Emilia Romagna ed alla Liguria.
L’epicentro si colloca fra i comuni di Teora (Figura 1), Castelnuovo di Conza e Conza della Campania, ma sconvolge Irpinia e Lucania (Figura 2).
Il bilancio è di 2.735 vittime, 8.848 feriti e 394 mila senzatetto; 77.342 case distrutte, 275.263 danneggiate, 479.943 lesionate (fonte INGV).
Oltre a questo, il sisma ha conclamato importanti problematiche: la fragilità e la fatiscenza del patrimonio edilizio, la carenza di conoscenze, l’interruzione totale delle comunicazioni che aveva impedito di diramare l’allarme, l’enorme ritardo nei soccorsi (clicca qui) e l’urgenza di una moderna Protezione Civile.
Oggi, dopo quarant’anni, la scienza ha fatto passi da gigante anche in campo sismico. Esiste ed è attiva una rete importante di stazioni sismiche per il monitoraggio continuo, l’elaborazione dati in tempo reale e l’emanazione di allerte. Ma possiamo anche contare su un una Protezione Civile efficiente.
Altrettanto non vale per altri aspetti… Non tutto è ancora risolto. Valga ad esempio Montella, uno dei comuni colpiti dal sisma del 1980. Il 12 novembre scorso, 2020, il quotidiano on-line IrpiniaNews scriveva che …alcune famiglie di sfollati che ancora vivono nelle baracche avranno finalmente una casa. Si tratta di famiglie di Montella, in provincia di Avellino… (clicca qui). 23 novembre 1980 – 19 novembre 2020 quarant’anni!
Lo stato dell’arte al 23 novembre 1980.
Nel 1980 gli studi sismici (non parliamo del monitoraggio) erano svolti, in maniera poco coordinata, dai Dipartimenti Universitari, dagli Osservatori e da qualche Istituto del CNR, oltre che dai deboli Istituto Nazionale di Geofisica e Servizio Sismico Nazionale.
Dal 1976 in Progetto Finalizzato Geodinamica (PFG) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) aveva posto le basi per razionalizzare e coordinare le ricerche, gli studi, i monitoraggi e renderne disponibili i risultati. Il PFG fu articolato …in numerosi Sottoprogetti interdisciplinari e specifici che hanno analizzato tutti gli aspetti del problema (geologico, strutturale, ingegneristico, normativo, divulgativo, preventivo, etc.)… (DEL SOLDATO, 1984).
Uno degli obbiettivi fondamentali è stato il potenziamento della rete di rilevamento gestita dall’Istituto Nazionale di Geofisica che dall’iniziale ventina di stazioni ha raggiunto le 55, nel 1979. Così i parametri del terremoto del 23 novembre 1980 poterono essere calcolati con i dati di 11 stazioni permanenti. Tuttavia, il 23 novembre 1980 era attiva, nella regione colpita da sisma, una sola stazione. Ma, come avvenuto a seguito del sisma di Norcia, molti Istituti di ricerca (compresi uno francese ed uno inglese) si resero disponibili ad allestire delle stazioni temporanee nell’area del cratere. Fu realizzato così un sistema coordinato di 32 stazioni che seguirono nel dettaglio l’evoluzione della sequenza sismica.
All’epoca, …a parte poche stazioni che trasmettevano via radio all’Osservatorio Vesuviano, altre registravano in loco su carte fotosensibili e inviavano le letture delle fasi per telefono: altre ancora registravano su nastri che venivano scaricati e portati a Napoli per la lettura ogni tre o quattro giorni. Il lavoro di chi gestiva i dati fu, per diversi mesi, massacrante…(STUCCHI, 2020). Il sistema fu completato da una rete di stazioni accelerometriche del CNEN-ENEL, delle quali 15 entro un raggio di 80 Km dal cratere e 21 entro il raggio di 180 Km. …Anche se sfortunatamente nessuna stazione si trovava in zona epicentrale, questi dati rappresentarono per molto tempo il miglior dataset accelerometrico italiano e contribuirono in maniera decisiva alla comprensione della complessità di quel terremoto… (STUCCHI, 2020).
Il sisma del 23 novembre 1980
Nonostante le carenze tecniche ed i ritardi nell’acquisizione dei dati, la comunità scientifica mise in campo tutte le proprie risorse.
Oggi sappiamo che quello Irpino-Lucano fu un evento estremamente complesso. …Non era stato un unico evento a produrre la rottura della crosta terrestre, dalla profondità di 15 km fino alla superficie, ma almeno tre sub-eventi che nell’arco di meno di un minuto avevano rotto, in rapida successione, quattro segmenti di faglia adiacenti (clicca qui). Le repliche del terremoto furono migliaia e si distribuirono lungo tutta la lunghezza del sistema di faglie in un volume compreso tra i quattro segmenti di faglia coinvolti. La frattura raggiunse la superficie terrestre generando una scarpata di faglia ben visibile per circa 38 km… (Pignone, 2020).
Il cratere fu esteso ai comuni di Conza della Campania, Lioni e Sant’Angelo dei Lombardi (provincia di Avellino), Castelnuovo di Conza, Laviano e Santomenna (provincia di Salerno). La provincia più colpita fu Avellino, ma i danni si estesero ben oltre. La distruzione di oltre il 50% del patrimonio costruito si allargò in altri 7 comuni dall’Avellinese e 2 del Potentino. Danni minori e crolli furono registrati in oltre 490 località.
Non va dimenticato, tuttavia, che alcune aree, e soprattutto il loro patrimonio edilizio, soffrivano ancora degli effetti dei sismi del 1930 e del 1962.
Purtroppo in questo campo le situazioni irrisolte, precedenti e successive, sono ancora molte ed evidenti.
Figura 2 – Il campo macrosismico del terremoto Irpino-Lucano, teorico e reale, tracciato all’epoca. Da DEL SOLDATO, 1984.
Cause ed effetti indotti da cause geologiche durante il sisma del 23 novembre 1980
Le scosse sismiche producono onde che si propagano nel terreno e, attraverso esso, alle strutture (clicca qui). In teoria, tanto maggiore è la distanza dall’origine profonda del sisma (ipocentro) tanto maggiore è l’attenuazione degli effetti. Ma questo assunto è fortemente influenzato da molti fattori regionali e locali di tipo geologico, tettonico, morfologico, litologico, etc.
Ad esempio, anche durante il sisma irpino, è stato più volte osservato come il numero di edifici danneggiati/distrutti rispetto al patrimonio edilizio globale fosse direttamente influenzato dalle caratteristiche del sottosuolo. In particolare, quando sono presenti coperture alluvionali o detritiche di notevole spessore si innescano problemi di amplificazione dei parametri delle onde e degli effetti catastrofici (Figura 3). Infatti, in un mezzo omogeneo come la roccia si verifica un attenuazione delle alte frequenze, mentre in un mezzo disomogeneo, avviene l’amplificazione come risultante fra le frequenze cancellate e quelle esaltate. Inoltre, quando la frequenza dell’onda è prossima al periodo dell’edificio si manifesta l’effetto di risonanza.
Nel 1737 durante il terremoto di Lisbona SHARPE osservò come …i danni più gravi si ebbero dove i terreni di fondazione erano costituiti da argille bleu, sulle quali si ergeva la parte più antica della città.
Nessuna delle costruzioni erette sul basalto o sul calcare secondario subì danni... (DEL SOLDATO, 1984, p. 30).
Analoghe conseguenze sono state riscontrate a Senerchia e Santomenna (Figura 4 e Figura 5), in Irpinia.
…Il primo paese sorge in parte sulle rocce carbonatiche del bordo orientale di M. Polveracchio ed in parte su detriti calcarei più o meno cementati di spessore variabile da 30 a 50 metri circa, che riposano su terreni prevalentemente argillosi accostati, per faglia diretta, alle rocce carbonatiche dei Monti Picentini. Le case in muratura fondate sulle rocce carbonatiche hanno resistito meglio alle sollecitazioni di quelle analoghe, per tipologia costruttiva, poggiate sul detrito e prossime (entro circa 80 metri) alla faglia. Identica fenomenologia e situazione è stata riscontrata a Santomenna (Figura 4) dove i danni sono stati pure molto ingenti… (DEL SOLDATO, 1984 p. 31).
Cause ed effetti del sisma del 23 novembre 1980 rilevati sulle strutture
Alcuni degli esempi più classici e significativi dei danni prodotti dal sisma del 23 novembre 1980 sulle strutture edilizie sono stati documentati in diverse località. Le condizioni degli edifici e soprattutto le loro caratteristiche costruttive sono state fondamentali per la risposta alle sollecitazioni sismiche.
A Lioni crollarono quasi totalmente tutti i vecchi edifici costruiti con ciottoli e malta, Questa è una tipologia costruttiva diffusa. I grossi ciottoli di fiume sono stati impiegati al naturale o con minime riquadrature non sufficienti a dare rigidezza e resistenza alle murature (Figura 6). Ma anche un gran numero di fabbricati moderni in cemento armato hanno subito profondi danneggiamenti. Una stima provvisoria indicò che fu distrutto circa il 75% del patrimonio abitativo. Numerosi sono gli esempi significativi:
- In Figura 7 è rappresentato un edificio di Lioni estremamente danneggiato ma non collassato completamente. In questo caso ha giocato un ruolo fondamentale il tetto realizzato a capriata con catena che lo rende non spingente. Le due falde del tetto sono ancorate alla catena mediante il monaco e questo ha annullato l’effetto spingente sulle sottostanti pareti laterali.
- In Figura 8 un altro edificio di Lioni in pietra rappresenta la situazione opposta alla precedente. Il tetto che non è ancorato alla catena mediante il monaco ha prodotto le spinte laterali che hanno innescato il collasso delle pareti, oltre allo schiacciamento del tetto sui solai.
- La figura Figura 9 rappresenta un danno piuttosto ricorrente nelle costruzioni recenti, in c.a.. È l’esplosione delle tamponature del piano terra (o del primo piano), oppure in alcuni casi dell’ultimo piano. Nel caso dell’edificio di Lioni in Figura 9, il piano terra su pilotis (quindi senza tamponature) ha assorbito l’urto, mentre sono esplose le tamponature del primo piano.
- Più incisivo il caso dell’edificio di Lioni in Figura 10. Questo era originariamente composto da tre piani. In seguito all’urto del sisma il piano terra è completamente collassato. I due piani soprastanti si sono accasciati sulle rovine del piano terra, mantenendo integra la loro struttura. Sono evidenti le lesioni sulle tamponature dei piani superiori, tutte fra loro sub-parallele che si sarebbero originate a seguito dell’impatto al suolo. È curioso che i vetri di tutte le finestre siano rimasti integri. Questo collasso potrebbe essersi verificato per il probabile assottigliamento molto spinto dei pilastri del piano terra.
- Un altro risentimento su un edificio moderno in c.a. è quello di Figura 11. Ancora a Lioni. Questo edificio era composto di due corpi importanti uniti da un collegamento più fragile. Evidentemente i due corpi principali sono entrati in risonanza comprimendo ritmicamente il collegamento. Altri esempi di distruzioni per martellamento possono avvenire quando due pareti di tipologia costruttiva e di strutture differenti sono a contatto. È il caso di Figura 12 sin. (Laviano) e Figura 12 dx (Senerchia).
- A Calitri il sisma ha innescato la riattivazione di una ampia frana quiescente innescando fenomeni di slum rotazionali e colate. Gli edifici prospicienti al versante sono stati coinvolti dalla riattivazione e, soprattutto dal trascinamento innescato dall’arretramento del ciglio di distacco (Figura 13). Questo ha prodotto il collasso degli edifici prospicienti (Figura 14) e lo sprofondamento di alcune strade e piazze del centro storico (DEL GAUDIO 2013, p. 15).
- Fenomeni minori, ma non meno distruttivi, sono stati il martellamento sulle pareti esterne degli edifici. Così nei due esempi riscontrati a Senerchia i muri hanno assunto andamento concavo (Figura 15 sn per la spinta del solaio intermedio) e convesso (Figura 15 dx per la spinta del solaio superiore).
- Determinanti per i risentimenti sulle strutture sono state alcune carenze nella scelta dei materiali. Fra queste, ad esempio, l’impiego di ferri non nervati (Figura 16) che hanno favorito lo sfilamento di porzioni di strutture in c.a.
- Un caso molto particolare è stato il riscontro della diffusa resistenza delle strutture ad arco, come nel caso dei portali di Senerchia (Figura 17) e delle strutture a volta in pietra come a Santomenna (Figura 18) ed a Laviano (Figura 19).
Conclusioni
Sicuramente la disorganizzazione ed il ritardo dei soccorsi sono stati uno dei fattori determinanti sulla dimensione della tragedia, ma non bisogna dimenticare che il terremoto del 23 novembre 1980 ha colpito aree sofferenti ancora degli effetti dei sismi del 1930 e del 1962.
Dalle prime stime risultò immediatamente quale fosse il costo in vittime e danni del terremoto (Figura 20).
Ed altro si aggiunse.
I tempi lunghi dei finanziamenti e dell’attuazione degli interventi indotti dall’ampliamento smisurato del numero dei comuni più o meno colpiti, ma sicuramente beneficiari (clicca qui).
Purtroppo in questo campo le cronache hanno testimoniano come analoghe situazioni irrisolte, precedenti e successive, siano ancora molte ed evidenti. E non solo qui.
Questo il bicchiere mezzo vuoto, ma guardiamo anche l’altra metà del bicchiere. Il sisma del 23 novembre 1980 col suo seguito di distruzioni e vittime conseguì anche un risultato non da poco.
Parliamo dei nuovi criteri per la classificazione sismica del territorio nazionale, basata su nuovi parametri scientifici, anziché sulla sola evenienza di un sisma distruttivo, passato. E poi le nuove norme per l’esecuzione degli studi propedeutici e per i criteri di progettazione ed edificazione nelle zone dichiarate sismiche.
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