Luni: la via dei marmi

In copertina: particolare della stratigrafia del sottofondo di un pavimento a mosaico. Domus dei Mosaici, Mosaico del Circo Massimo di Roma (V sec. d.C.).

Premessa alla via dei marmi di Luni

Questa storia comincia nel 177 a. C.. È l’anno di deduzione della colonia romana di Luni, la città che raggiungerà il suo massimo splendore con la monumentalizzazione avvenuta in età giulio-claudia (14 a.C. – 68 d.C.).

 …È città e porto, chiamato da’ Greci il Porto di Selene che in nostra lingua viene a dire Luna e la città medesimamente. La quale non è molto grande, ma il porto è grandissimo e bellissimo; come quello ch’in se contiene più porti, e tutti molto profondi … quivi si cavano pietre bianche, e varie di colori che ne’l verde biancheggino, tante e così grandi; che d’un pezzo solo se ne possono fare lastre, e colonne. Onde la maggior parte dell’opere eccellenti, che sono in Roma, e nelle altre città ancora, vengono di là…, così la descrive Strabone (BUONACCIVOLI, 1612, pp. Libro V, 91 20-30).

L’Amaseo avrebbe redatto una prima versione della sua Geografia intorno al 13-11 a.C …e forse anche qualche anno dopo», dopo aver visitato Roma e una parte ridotta dell’Italia tra la fine degli anni ’40 e i ’30 a.C…. (MADDOLI, 2012, p. 36). È probabile abbia fatto un secondo viaggio più tardi, sotto Tiberio, eseguendo poi ritocchi e nuove annotazioni intorno al 17 d.C. (MADDOLI, 2012, p. 36).
L’ultima stesura della Geographia avviene immediatamente prima dello sviluppo dell’attività estrattiva e commerciale del Marmo Lunense (Apuano). Strabone è comunque a conoscenza, diretta o indiretta, del fatto che …soprastando le vene di queste pietre, vicine al mare; agevolmente si possono condurre al mare, e dal mare ne’l Tevere capace delle navi che le conducono… (BUONACCIVOLI, 1612, pp. Libro V, 91 30-).
A quel tempo, Luni aveva già una tradizione lunga un paio di secoli nell’approvvigionamento, nella lavorazione e nell’utilizzo di risorse lapidee locali, differenti ed eterogenee. Ed aveva una altrettanto lunga esperienza di trasporto marittimo, seppure con navi a basso pescaggio come quelle mercantili e militari (BANDINI, 1999, p. 11). Erano queste le imbarcazioni che potevano trovare rifugio negli approdi protetti dalle barre costiere, dalle isole sabbiose, dalle fasce dunali e dalle vaste aree acquitrinose/paludose che contrappuntavano la foce del Magra. Quindi, con ogni probabilità, gli approdi erano raggiunti attraverso rami focivi secondari poco profondi. Attraverso almeno uno di questi passava certo anche una via dei marmi. Non se ne conosce l’approdo, ma se ne può ipotizzare un tracciato.

Luni: i materiali lapidei

La vita della città di LUNI è costellata dall’uso di materiali lapidei vari ed eterogenei.
Le diagnosi dei litotipi via via impiegati nella città di Luni sono diffuse in letteratura. E  generalmente sono state formulate sulla base di anamnesi solo macroscopiche.
Una delle rarissime analisi petrografiche in sezione sottile si deve a MANNONI (CAGNANA & MANNONI, 1995, p. 159). Ma è un caso isolato, anche per il carattere distruttivo dell’indagine.
Si tratta quindi di valutazioni occasionali e correlabili alle singole esperienze degli Autori.
A rendere ancora più complessa la situazione sono due fattori importanti:

  1. la complessità ed eterogeneità geologica locale/regionale estesa ad un intorno significativo della città di Luni e compreso fra il Promontorio Orientale della Spezia, l’area terminale dei bacini idrografici Magra-Vara e l’area Apuana;
  2. la possibilità di reperire i materiali sia in affioramento lungo i versanti, che in frazioni detritiche (ciottoli e massi) più o meno grossolane disperse nelle frane, nei materassi alluvionali e nei depositi litoranei.

Ad esempio le tessere per realizzare i pavimenti a mosaico sono state ricavate da litotipi molto diversificati. Non occorrevano grandi monoliti per provvedere a scorte sufficienti a realizzare un mosaico. Viceversa occorrevano materiali differenti per colore ed aspetto. Per il loro approvvigionamento non era necessaria l’apertura di una cava. Le tessere potevano essere ottenute anche dagli scarti di lavorazione di elementi artistici o architettonici o da ciottoli raccolti in ambiente litoraneo e/o fluviale. Si pensi alle analogie con il reperimento storico dei ciottoli per la realizzazione dei tipici rissëu liguri, i pavimenti in acciottolato, arabescati, dei sagrati o delle ville patrizie. E come non pensare alla possibile origine del grande peso litico con iscrizione di Luni?

Luni: analisi petrologiche sui materiali lapidei

In uno studio recente si è affrontato il problema della diagnosi e della possibile provenienza dei litotipi impiegati a Luni. Di conseguenza è stato possibile eseguire osservazioni petrologiche su una importante serie di campioni, un centinaio, provenienti da cementizi a base marmorea, da mosaici e da monumenti.
Naturalmente erano piccoli elementi già isolati a seguito di vicende differenti accadute nel tempo e come tali conservati. Su questi sono state eseguite campionature su base macroscopica ed analisi petrologiche (ed ove necessario anche micropaleontologiche) macro- e microscopiche. Queste ultime limitate alle sole sezioni naturali.
Non sono state eseguite analisi in sezione sottile per il loro carattere distruttivo.

Marmo Lunense o marmo di Punta Bianca?

Diverse indicazioni suggerivano che a Luni fosse stato impiegato, anche in maniera diffusa, un marmo bianco, locale, molto simile di aspetto a quello più famoso delle Apuane.
La discriminante per distinguerli è stata trovata nei lavori di MOLLI (2009) e CRISCUOLO & LISI (1998) per il Marmo Lunense e di FRANZINI (2003) e FRANZINI & LEZZERINI (2002) per il marmo di Punta Bianca.
L’attribuzione delle tessere o delle schegge al Marmo Lunense o al marmo di Punta Bianca, è stata eseguita per via statistica sulla base della distribuzione delle classi dimensionali dei cristalli costituenti la struttura granoblastica (saccaroide) dei litotipi, misurate mediante microscopio digitale su circa 120 sezioni naturali.
Ciascuna serie misurata è stata descritta mediante un diagramma semilogaritmico (Figura 1), per definirne la curva granulometrica caratteristica, e mediante una curva gaussiana (Figura 2), per descriverne gli intervalli statisticamente più rappresentati.
Contemporaneamente sono stati studiati e classificati altri materiali litoidi in uso a Luni. In molti casi è stata riscontrata la loro appartenenza alla sequenza metamorfica che comprende il cosiddetto marmo di Punta Bianca. E quindi la provenienza locale di molti altri materiali impiegati in edilizia, architettura e nei pavimenti a mosaico di Luni.

Planimetria della città di Luni in un disegno di Silvia LANDI.

Luni: il Grande Tempio

Uno degli edifici più antichi di Luni è il Grande Tempio.
Si localizza lungo il prospetto nord-orientale della città. Forse è il monumento nel quale il marmo di Punta Bianca è stato impiegato più diffusamente. Quindi dalla sua fase più antica, fino alla monumentalizzazione di età imperiale.
Lo si ritrova nel lastrico della via sacra, nei gradini delle rampe di accesso al tempio, nelle due fontane ai lati della scalinata centrale, in fregi e strutture architettoniche.
Un aspetto particolare emerso durante lo studio del marmo di Punta Bianca del Grande Tempio è il suo vistoso stato di degrado. Si manifesta con la dissoluzione superficiale e la suddivisione in blocchi dei manufatti.
Qui l’analisi petrologica ha evidenziato la presenza di frequenti micro-vacui sub-sferici o elissoidici (pitting), vuoti e perfettamente puliti all’interno. Lungo le superfici più esposte, invece, palesano un riempimento da parte di nuclei scuri, neri, brillanti, sfaccettati che, talvolta, presentano evidente ricristallizzazione in bande concentriche, con fasi radiali e bordo esterno di alterazione nerastro. In questi casi l’alterazione si estende al marmo circostante con bande di dissoluzioni della struttura saccaroide (Figura 3).
Un altro aspetto originale dell’impiego di marmo di Punta Bianca in queste prime fasi della vita di Luni, è quello in facies di ciottoli e frammenti di differente dimensione impiegati in un cementizio del Grande Tempio. Questo fa pensare ad un riutilizzo delle schegge di lavorazione, nel primo caso, ma anche ad occasionale raccolta in ambiente litoraneo, nel secondo.
Sono un uso ed una tecnica perdurati nel tempo e che ritroviamo nella più tarda malta di allettamento di un pavimento della vicina Domus settentrionale, dove i frammenti marmorei sono connessi ad una breccia minuta a matrice microcristallina rosata ed a calcare micritico rosa.
Un caso di utilizzo più tardo del marmo di Punta Bianca è quello in un pavimento della Domus di Oceano della fine IV – inizi V sec. d.C., quindi successivo addirittura all’evento traumatico che avrebbe distrutto la città nella seconda metà del IV secolo d.C..

Luni: ciottoli fluviali e litoranei

Ciottoli eterogenei provenienti da raccolte in pianura alluvionale o litorale sono stati impiegati a Luni anche per approntare tessere per i pavimenti a mosaico.
Sono stati impiegati ciottolini centimetrici in lherzolite per i verdi più o meno scuri, in diaspri per i rossi vinati ed i rossi fegato, in calcari silicei con ammoniti e/o tracce di radiolari (Formazione delle Marne a Posidonia POD) per grigi scuri-nero, etc.. In alcuni casi, come nel cementizio a base marmorea della Domus di Oceano, gli inserti ricavati da ciottoli sono stati anche rettificati: abrasi e lisciati in superficie per appiattirli.
Naturalmente i ciottoli hanno rappresentato anche un materiale da costruzione povero, impiegato, seppure con poca frequenza, anche a Luni. In generalmente si trovano ciottoli di arenaria Macigno, anche se nelle murature erano prediletti gli scampoli di altri litotipi: filladi, filladi quarzose, metaconglomerati, metabrecce o gli scisti cristallini di CAGNANA & MANNONI (1995, p. 141), etc., riquadrati e stabili sugli elevati. In alternativa, l’impiego dei ciottoli arrotondati necessitava dell’inserimento di rinforzi in corsi di laterizi.

Il Marmo Lunense

Il Marmo Lunense, apuano, è stato la fortuna economica di Luni. Scoperto, coltivato e, soprattutto, esportato ha costituito una grande opportunità e ricchezza per Luni. E tanto era apprezzato che …da un’iscrizione si ritrae che l’ufficio di computista de’ marmi di Luni (Tabularius marmorum Lunensium) fosse impiego di gran conseguenza trovandosi affiliato ad un liberto di un Augusto della gente Flavia… (BERTOLOTTI, 1834, p. 189).
L’impiego anche a Luni è stato, ovviamente, massiccio. Rivestimenti, colonne, statue, fregi e tessere per mosaici. In quest’ultimo caso era sovente abbinato a materiali meno usuali come tessere di alabastro calcareo, di calcare siliceo rosa (a dendriti di manganese) e di breccia triassica a diplopore (Atrium della Domus degli Affreschi), o di metarenarie e metapeliti grige a crinoidi (piano superiore delle abitazioni presso la Porta Orientale), oppure di selce scura a dendriti di manganese e probabili radiolari, di calcare siliceo e di Pietra del Corvo (Domus dei Mosaici), ma anche a tessere laterizie (cattedrale di Santa Maria).
Nel periodo intermedio della vita di Luni è credibile e possibile l’impiego, nei mosaici, del marmo di Punta Bianca assieme al Marmo Lunense di nuovo approvvigionamento. Le tessere realizzate dai due marmi erano indubbiamente analoghe nell’aspetto e nelle caratteristiche, seppure il primo sia risultato più facilmente alterabile. Non si può escludere ne esistessero giacenze e scorte presso i laboratori artigiani locali anche durante il boom del Marmo Lunense.

Luni: la Pietra del Corvo

In letteratura si trovano numerosi riferimenti al fatto che buona parte della città monumentale di Luni sia stata costruita con la Pietra del Corvo.
Ad esempio sono tradizionalmente considerati in Pietra del Corvo i gradini del triportico capitolino, ancora in sito immediatamente alle spalle del Foro.
In realtà i gradini del triportico capitolino come le tessere di alcuni pavimenti della Domus di Oceano, della Domus dei mosaici, della Domus Settentrionale e della Cattedrale di Santa Maria sono stati realizzati da un calcare selcifero scuro ad ammoniti e/o foraminiferi (Figura 4). Questo materiale, però, non si trova a Punta Corvo. Bisogna spingersi poco più a nord-ovest, fra le località Serra di Lerici e Seno di Tellaro. Comunque sempre lungo un tratto della medesima falesia attiva del Promontorio Orientale spezzino.
Punta Corvo, al contrario, si colloca nel dominio geologico del cosiddetto Membro dei Calcari e Marne di Monte Santa Croce. Si tratta di una sequenza litologica costituita da differenti litotipi fra i quali spiccano …strati e banchi da decimetrici a metrici prevalentemente calcilutitici grigio scuri e intervalli marnosi grigi e giallastri irregolarmente alternanti… (AUTORI VARI, 2005).
Dal punto di vista geomorfologico Punta Corvo è una falesia attiva e soggetta all’azione battente del mare. Come tale scarica da sempre, sull’incipiente omonima spiaggia, grandi quantità di materiale. Sono blocchi di dimensioni molto varie e comprese fra lo sfatticcio, pochi grammi, e diverse tonnellate. È comunque materiale già disponibile e solo da scegliere, rettificare sul posto ed imbarcare.

Luni: una via dei marmi

La prosperità di Luni è stata imperniata sul suo Portus e sul commercio del marmo …estratto nelle vicine cave delle apuane, la cui richiesta da parte di Roma e di numerose altre città dell’impero, diventa ingente a partire dall’età di Augusto… (ROSSIGNANI, 1989) e cioè fra il 27 a.C. ed il 14 a.C. (Figura 5).
Le ricostruzioni ambientali e le ipotesi di localizzazione del Portus Lunae sono numerose in letteratura.
A queste si aggiungono oggi anche abbondanti indagini geognostiche e geotecniche eseguite negli ultimi decenni che compendiano le informazioni acquisibili dai sondaggi e dagli scavi archeologici. L’insieme di questi dati integra e completa la possibile ricostruzione dell’ambiente “Luni” in epoca romana.
Tutto questo ci consente alcune riflessioni:

  • l’ambiente focivo del Fiume Magra risultava protetto da un intreccio di dune costiere, di isole di sabbia, di vaste aree paludose separate anche da rami focivi secondari  “navigabili”, seppure da sole imbarcazioni a basso pescaggio;
  • i materiali lapidei del tipo di quelli più diffusi a Luni erano disponibili alla base delle vicine falesie costiere attive;
  • un solo caso di probabili tracce di estrazione è segnalato alla base della falesia di Punta Bianca (FRANZINI, 2003, p. 37);
  • ciottoli alluvionali erano impiegati come materiale edilizio di poco pregio negli elevati. Ma particolarmente interessate è l’impego dei piccoli ciottoli (di ambiente fluviale o litoraneo) di diaspro, ofioliti e calcare nei pavimenti a mosaico. Ciò implica una profonda conoscenza dei materiali e del territorio, oltre all’abitudine di reperirli in ambienti vari e circostanti.
Osservazioni conclusive sulla via dei marmi di Luni

Diventa consequenziale pensare ad un approvvigionamento dei lapidei lungo le falesie del Promontorio Orientale della Spezia. Ed altrettanto si deve pensare all’esistenza di una via dei marmi.
Sulle falesie si trovavano materiali estremamente vari per caratteristiche, colore, utilizzabilità. Ed erano disponibili già sulle spiagge o, comunque, a livello del mare..
Le località di prelievo distavano da 5 a 8 miglia romane da Luni ed erano facilmente raggiungibili via mare (Figura 6) lungo una via dei marmi..
In quest’ottica il Marmo Lunense potrebbe considerarsi un caso del tutto particolare: unico per la sua uniformità, per il suo pregio, per le caratteristiche geotecniche e di lavorabilità. Meritava assolutamente un approvvigionamento più lontano, trasporti più difficoltosi e l’onere dell’apertura di cave.
L’apprezzamento da parte di artisti e committenti ha innescato la creazione di un vero e proprio settore industriale perdurato fino ai giorni nostri (… o quasi).

Note di aggiornamento

25 gennaio 2022: in una casa di Pompei, che all’epoca dell’eruzione del Vesuvio era in ristrutturazione è stato rinvenuto un campionario di marmi contenuto in una cassetta!

Immagine citata nel testo
Figura 7 - 1852, Stati Sardi. J. Etienne Gayet particolare del Foglio LXXXV Sarzana

19 settembre 2022

Nella Figura 7 compare un particolare della carta degli, Stati Sardi, Foglio LXXXV, Sarzana redatta nel 1852 da J. Etienne Gayet.
In corrispondenza di Punta Bianca è indicata una Cava di Marmo segno evidente che in quell’epoca era ricordata o era attiva una coltivazione.
Per altro …u
n’attenta ricognizione dell’affioramento di marmo della Punta Bianca non ha consentito di individuare alcuna sicura evidenza diretta d’attività estrattiva. Un unico modestissimo e non conclusivo indizio è rappresentato da una traccia di lavorazione a scalpello (…) rinvenuta su un blocco isolato… (FRANZINI, 2003, p. 35 che ne riporta anche una fotografia).

Bibliografia

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